
Rudi Voeller è e resterà per sempre una leggenda della Roma. Il suo ricordo rimane indissolubilmente legato ai colori giallorossi con cui ha trascorso ben 5 stagioni. L’ex attaccante della Roma ha recentemente rilasciato un’intervista in esclusiva per La Gazzetta dello Sport dove è tornato a parlare del suo passato all’ombra del Colosseo, sia da giocatore che da allenatore. Queste sono state le sue parole.
Voeller e Roma, un legame indissolubile

Quando Dino Viola la portò a Roma. Che persona era?
“Sembrava una persona dura, era molto diretto. Da subito ho avuto un rapporto eccezionale ed è stato il motivo per cui sono rimasto 5 anni. Se non fosse stato per lui, sarei tornato indietro dopo appena una stagione”.
Le voleva così bene che la spinse anche al Mondiale del ’90.
“Abbiamo vinto la coppa all’Olimpico, che per me era casa, ma siamo stati a Roma solo dalla vigilia. Atterriamo, andiamo alla Borghesiana e chi trovo? Viola, il mio presidente, che mi aspettava. Abbiamo bevuto un caffè e parlato. Era orgoglioso e tifava per noi dopo che l’Italia era uscita”.
Altri personaggi della sua vita in giallorosso: Liedholm
“Persona splendida con tutti, non alzava mai la voce, si faceva intendere, senza urlare. Con lui sono stato bene”.
Boniek?
“Il mio primo compagno di stanza. Ne parliamo ancora, e ridiamo”.
Il mese come allenatore della Roma lo ha definito come il momento sbagliato nel posto sbagliato.
“Era il 2004 e non potevo dire di no dopo che Prandelli si dimise per la malattia della moglie. Erano in difficoltà: mi hanno chiamato il presidente Sensi, Totti, Baldini è venuto in Germania a convincermi. Forse si aspettavano il tedesco che sistemasse le cose ma non sono così. Ho capito che non andava, ho detto: meglio che prendiate un italiano”.
Lei si definisce mezzo romano e non mezzo italiano. Quando esce la sua romanità?
“Mi escono delle battute, anche con i tedeschi, poi penso e dico: questa è la classica battuta romana“.