Flavio Cobolli sta vivendo settimane che non dimenticherà: la semifinale di Coppa Davis col Belgio alle porte e il suo nome al centro della scena. Eppure il punto di svolta, quello che spiega il modo in cui oggi attraversa le partite più grandi, affonda in una storia tutta romanista: una telefonata con Claudio Ranieri la sera prima di Wimbledon, quando dall’altra parte della rete c’era Novak Djokovic e in testa solo dubbi.
La chiamata (e il perché conta ancora oggi)
Il legame nasce mesi prima, quando Cobolli—romanista dichiarato—va ad accogliere Ranieri in aeroporto con la sciarpa giallorossa, al suo ritorno in panchina dopo l’esonero di Juric. Alla vigilia di Djokovic, la tensione è alle stelle: il padre di Flavio chiede a Ranieri come si entra in campo quando l’avversario è “troppo grande”. La risposta dell’allenatore è una lezione semplice e severa: lucidità, umiltà, coraggio—l’impossibile non si batte con la retorica, ma spezzettandolo in compiti chiari, punto dopo punto. L’impresa non arriverà, ma Cobolli ne esce più consapevole e con una partita di livello, giocata senza smarrirsi.
Roma inside: ciò che resta della lezione
Quella conversazione oggi si sente. Nella Davis, Cobolli porta lo stesso protocollo emotivo: accettare il peso, trasformarlo in routine, stare nel presente. È lo stesso patrimonio culturale che Ranieri ha lasciato a questa città: testa chiara nelle tempeste, rispetto dell’avversario e fiducia nel lavoro. La storia non è un trofeo, ma un metodo: quello che ti fa arrivare alla semifinale con energia pulita. E che, domani, nel tennis come nel calcio, ti permette di restare quando conta davvero.