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La Roma va indietro tutta

Lunedì 22 ottobre 2018
A casa Di Francesco. Nel calcio è così, se vi piace. Facile a dirsi e a farsi. Ed è già successo: Luis Enrique, Zeman, Andreazzoli, Garcia e Spalletti. Ma, come si è visto, non è solo in panchina il problema. Ieri, oggi e domani. Perché lì la Roma non riesce a mettere seduto il Big che vorrebbe anche la piazza. Almeno 3 i possibili candidati che il consulente Baldini, sempre più al centro della strategia Usa, ha contattato in passato. Niente da fare: Allegri ha preferito restare da sopportato al Milan e aspettare l'esonero di Berlusconi; Ancelotti ha invece scelto il Bayern e adesso il Napoli; Conte ha lasciato l'Italia per il Chelsea e ora andrebbe al Milan o al Real. Mai, dunque, fu prima scelta. Nemmeno quando Pallotta chiamò Spalletti, voluto a Trigoria più per cancellare Totti che per vincere qualsiasi trofeo. Il 28 maggio 2017, con il pollice verso della gens all'Olimpico per il presidente e l'allenatore, il piano venne smascherato a furor di popolo.

GUIDA ACCOMPAGNATA Mai il Big vestito di giallorosso, insomma. Perché l'allenatore della Roma sa che cosa l'aspetta a Trigoria: il mercato lo fa la proprietà. Qui non si sceglie, si accetta. Accade pure alla Juve. «Lì però acquistano CR7» il pensiero in estate di Di Francesco quando ha visto davanti a sé Kluivert. Eusebio non prende i fischi dai tifosi che invece offendono Pallotta, dirigenti e giocatori. E che, però, lo contestano per non essersi messo di traverso durante il ridimensionamento d'estate. Lo vedono fragile davanti a dirigenti come la squadra davanti agli avversari. Le partenze eccellenti di Alisson, Nainggolan e Strootman hanno del resto reso più povero il gruppo. Ridotto al minimo nella personalità, nella qualità e nell'esperienza. Addii dolorosi con motivazioni economiche, comportamentali e tecniche. Numericamente la rosa è sofferente, scarseggiano gli interpreti di sostanza e spessore soprattutto a centrocampo. Abbondano, invece, voci e volti che ci raccontano il bello della società giallorossa. Dentro e fuori il Bernardini. Mediaticamente la società ha stravinto, trovando più di una sponda per trasmettere il suo Credo. Unico e incontestabile. Via con il messaggio giusto, da recapitare in città. In poche ore, ecco trasmesso il successo di inizio estate: a 70 milioni il portiere va ceduto e basta. Non fa niente che Alisson è probabilmente il numero uno al mondo. C'è la gara ad arricchirsi la bocca, voltando le spalle alla bacheca. E allora, avanti con il prossimo: non ci si può comportare come ha fatto Nainggolan, il club fa bene a darlo via perché fa una vita che, come dimostrano i test, non è da atleta. Arriva Pastore che non sta certo meglio di lui: un polpaccio tira l'altro e si stira come l'altro. Muscoli da assicurare e non sicuri. Cammina, invece, di rincorrere l'avversario. Strootman è la fotografia di come si depotenzia la rosa: via addirittura a mercato, in entrata, chiuso. Ma che festa sia, con l'affare che proprio non ti aspetti (allenatore, compagni e tifosi): ciao, tanto questo giocatore è a fine carriera. Baci e abbracci.

SENZA LOGICA Ecco finalmente Primo Monchi. È questo il suo mercato. Purtroppo. Ha covato, e non scovato, per un anno, ma la gallina è da uova vuote. Quanti giovani da svezzare: Bianda, Coric, Zaniolo, Kluivert e anche il portiere Fuzato. Cristante a peso d'oro dall'Atalanta. Pastore, pesantissimo in campo e sul bilancio, dal Psg. Di rinforzi, chiamiamoli ancora così, ne ha fatti 12. «Cameriere, champagne» il brindisi ad ogni arrivo. Stappata la bottiglia, altro che Francia: birra da discount, mezza vuota e sgasata. Adesso Santon, scarto dell'Inter, è insostituibile. Triste, ma vero. E gli unici titolari sono Olsen e il campione del mondo Nzonzi. Ma 7 nuovi hanno partecipato alla figuraccia di sabato. E meno male che Malcom non è salito sull'aereo per Ciampino. Zero Monchi, comunque, è tale e quale show. Perché un anno fa puntò su Karsdorp infortunato e da operare. «È così forte che vale la pena prenderlo e aspettarlo». Minuti giocati: 180 (e 3 presenze). Qui tutto fa spettacolo. Anche quando si sbaglia. Perché è sempre l'altro a essere in errore. E perché, senza presunzione, non ci sarebbe questa Roma.
di U. Trani
Fonte: Il Messaggero
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