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Roma, il ventennale Capello: "Lo scudetto più difficile della mia carriera"

Giovedì 17 giugno 2021
La Roma del terzo scudetto festeggia il ventennale. Fabio Capello, oggi apprezzato opinionista di Sky, ne era il tecnico. Toccò a lui rinverdire i fasti di Liedholm. Se il Barone aveva riportato il tricolore dopo 41 anni, lui ha impiegato meno. Un apporto decisivo: l'uomo giusto al momento giusto. Inutile girarci intorno: probabilmente senza il tecnico di Pieris, anche una squadra straordinaria come quella costruita da Franco Sensi, avrebbe faticato a vincere. Un friulano a Roma, sembra il titolo di una fiction. In realtà è la storia di un allenatore in una città che ha amato e ama tuttora ma che a volte ha faticato a comprendere. Quando andò via, disse che cinque anni nella Capitale lo avevano «stremato, ero esausto». Oggi il ricordo si è fatto più dolce.

Capello, sono trascorsi già 20 anni.
«Stiamo diventando vecchi...».

All'epoca si fece un bel regalo di compleanno.
«Certamente, compio gli anni domani (18 giugno, ndc). Fu molto gratificante».

Il primo ricordo che le viene in mente di quella stagione?
«L'invasione di campo a 15 minuti dal termine di Roma-Parma».

Non il gol di Montella a Torino o la doppietta di Batistuta al Tardini?
«Probabilmente quelli furono i momenti chiave, ai quali aggiungo la sconfitta a San Siro contro l'Inter, dove capii che avremmo vinto. Ma quando vidi all'improvviso tutta quella gente a bordo campo, le confesso che ho avuto paura. Stavamo perdendo uno scudetto senza motivo. Mancava un quarto d'ora, sarebbe bastata una semplice spinta, un calcio o un pugno ad un calciatore avversario e avremmo buttato via tutto. Ero lì che mi agitavo, urlavo. Se rivede le immagini di quel giorno ero molto arrabbiato».

In effetti la ricordiamo abbastanza inquieto.
«No, ero proprio incazzato. Ma lei si immagina? A 55 anni che correvo dietro a un tifoso che chiedeva una maglia, ad un altro che si voleva prendere la zolla d'erba...».

Tra gli scudetti vinti da tecnico, quello a Roma è stato il più difficile?
«Sì, senza dubbio. Perché c'era tanta competitività tra le squadre, non c'era nessuno che si staccava. Se pensa che l'ultima giornata inizia con tre squadre raccolte in 3 punti. E la conferma è che abbiamo vinto all'ultima partita. Ma Juventus e Lazio sono state lì sino all'ultimo».

Qualche rimpianto per aver vinto soltanto uno scudetto a Roma lo nutre?
«Guardi, se è stato difficile vincere un campionato, e la dimostrazione è che nella storia di questa società ne sono stati vinti appena tre, ancor più difficile è stato mettere la parola fine ai festeggiamenti. Sono durati 7 mesi e le assicuro che non esagero. L'anno dopo potevamo ripeterci ma abbiamo perso tanti punti con le piccole squadre. Senza contare quello che abbiamo combinato a Venezia, non vincendo contro una squadra già retrocessa. Anzi, recuperando da uno 0-2... Un vero peccato».

Aveva comunque a disposizione una squadra eccezionale.
«Eh sì. Cafu è stato uno dei terzini più forti della storia. Candela giocava terzino ma aveva una tecnica e una visione di gioco di un centrocampista. Dietro Samuel, in mezzo Tommasi e poi davanti avevo l'imbarazzo della scelta. Batistuta, Totti, Montella, Delvecchio...Mi faccia aggiungere una cosa».

Prego.
«Sono stato anche fortunato ad avere delle riserve rispettose. Se chi non gioca è scontento, per l'allenatore diventa un problema. E invece Mangone, Rinaldi, Lupatelli, Nakata, si sono sempre comportati bene».

Anche Montella?
«Siete ancora convinti che avessi qualcosa contro di lui? Ma non è vero. Perché entrava spesso in corsa o lo sostituivo? Francesco non lo toglievo mai perché non volevo privarmi di un'opportunità. Lui si poteva inventare qualcosa in qualsiasi momento, sempre. Un giocatore eccezionale. Batistuta le devo spiegare perché giocava? Gabriel era quello che ci mancava per vincere. Dei tanti gol che ha fatto, me ne ricordo uno al Verona su punizione, più o meno dai 25 metri. Un missile. La palla non si è mai abbassata. Ma anche in allenamento, spesso si fermava a calciare alla fine delle sedute e urlava "gol" ancora prima di toccare la palla. Delvecchio, invece, era l'unico che mi faceva le due fasi. E allora toccava a Vincenzo che rimane un grandissimo attaccante d'area di rigore. Senza il suo 2-2 a Torino...».

Un ricordo di Franco Sensi?
«Le confesso una cosa. Mi scelse dopo una chiacchierata. Bastò quello. Il giorno dopo aveva già preparato i documenti per farmi firmare».

Quanto manca alla Roma attuale per tornare a vincere?
«Il primo passo lo ha fatto prendendo Mourinho. Ha personalità da vendere, conosce l'Italia, sa come si vince, legge bene le partite. Ma da solo non basta. Servono i grandi calciatori».
di Stefano Carina
Fonte: Il Messaggero
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