Quando Justin Kluivert sbarca a Roma dall’Ajax, nell’estate dei colpi di Monchi, sembra il classico acquisto da copertina: figlio d’arte, talento da videoclip, l’idea di aver portato a Trigoria un pezzo di futuro.
Invece la storia prende un’altra piega. Lampi, pause, tanta discontinuità e la sensazione di un treno mai davvero afferrato. L’avventura si esaurisce di fatto nel 2020, tra prestiti e saluti a distanza, e Kluivert diventa uno dei simboli di quella categoria dolorosa: chi a Roma è arrivato con un carico enorme di aspettative e ne è uscito con la percezione del “promessa non compiuta”.
Anni di crescita
Oggi, dal Bournemouth, Kluivert torna a parlare della sua parentesi giallorossa con uno sguardo diverso. Racconta il rapporto con Daniele De Rossi – “persona speciale”, maglia ancora custodita a casa – e cita Dzeko e Kolarov come due leader che avrebbero potuto entrambi fare i capitani.
Guardando le foto di quegli anni, dice di rivedersi “piccolo e giovane”: il salto a Roma, ammette, è stato uno dei passaggi che lo hanno fatto diventare uomo, fino alla paternità. E soprattutto aggiunge un dettaglio che a Trigoria non passa inosservato: segue ancora la Roma, la sostiene e spera che vinca il campionato.
Su Ranieri, tecnico che lo ha allenato negli ultimi mesi del 2018-19, le parole sono nette: “Una leggenda”.
Roma, città che resta addosso
Al di là dei numeri, l’intervista conferma un copione noto: Roma entra dentro i giocatori, anche in quelli che non hanno lasciato il segno che ci si aspettava. Kluivert non è diventato il crack immaginato, ma a distanza di anni parla ancora di Trigoria come di un pezzo di sé.
È il paradosso giallorosso: c’è chi resta leggenda sul campo e chi se ne va da incompiuto. Ma quasi nessuno, una volta andato via, riesce davvero a sentirsi lontano.