“Roma, silenzio e coraggio”: Sebino Nela si racconta tra scudetto, ferite e rinascita

L’ex terzino giallorosso ha rilasciato un’intervista al Corriere della Sera: tra lo scudetto dell’83, la lotta al cancro e l’invito a dare tempo alla nuova Roma di Gasperini.

Jacopo Mandò -
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Sebino Nela
Sebino Nela, icona della Roma: dallo scudetto ’83 alla battaglia contro il cancro, tra memoria, fede giallorossa e fiducia nel progetto Gasperini – Romaforever.it

C’è un filo che lega il ragazzo timido arrivato a Roma all’uomo che, anni dopo, ha guardato in faccia la malattia: il lavoro in silenzio. Sebino Nela, in una lunga intervista al Corriere della Sera, ripercorre una vita tutta a strappi, accelerazioni, scosse. L’energia dell’Olimpico, le cadute, la capacità di rialzarsi. “Lavorando in silenzio. All’inizio parlavo poco. La storia è cambiata nel secondo anno di Roma”, confessa. È l’anno dello scudetto 1982/83, quello che gli svela l’essenza della città e della sua curva: “Ho capito immediatamente cos’era la Roma. Le tifoserie rivali ci insultavano: mi raddoppiavano le energie”.

Liverpool, Lecce e la misura delle ferite

La ferita sportiva non è quella che tutti immaginano. La notte con il Liverpool resta in galleria, ma non è la più dolorosa. “Avrei potuto calciare, ho servito Graziani”, ammette, senza rimpianti. A bruciare davvero è altro: “È stata peggio quella con il Lecce che ci è costata lo scudetto due anni dopo”. Nel ricordo c’è la sostanza del suo calcio: leggere il dolore, conviverci, farne ritorno.

Roma e il tempo di Gasperini

Sull’orizzonte giallorosso, Nela è netto: “Arrivare nelle prime quattro sarebbe straordinario. L’inizio è convincente, vediamo anche il cammino delle altre. Gasperini richiede tempo”. Un invito alla misura in una piazza che corre, che pretende. L’idea è chiara: costruire identità e risultati insieme, senza scorciatoie.

La partita più dura: il cancro e la disciplina del giorno per giorno

Poi il racconto si stringe, diventa sussurro. “Noi calciatori viviamo di obiettivi. Con la malattia ho fatto così”, dice. Ritma le notti di chemio in obiettivi minuscoli: “Cinque ore in bagno tutte le notti con i dolori… mi sono detto: proviamo a stare quattro ore, poi tre e mezzo, poi tre”. La lucidità più dura è nella gratitudine: “L’unica differenza tra me e chi ho perso—D’Amico, Rossi, Mihajlović, Vialli—è la fortuna”. E una famiglia da rimettere in piedi: “Ho trovato mia moglie e le figlie che piangevano: ‘Basta, siete voi che dovete aiutare me”.

Nela, oggi, è l’immagine ostinata di un’idea semplice: Roma si ama con i fatti. In campo, in corsia, nella vita. Con poco rumore e una grande, testarda dignità.