Sembra un’intervista, e in fondo lo è: Evaristo Beccalossi non ha bisogno di domande per spiegare perché sbagliare dal dischetto non debba trasformarsi in un processo pubblico. Alla notizia dei tre rigori falliti dalla Roma contro il Lille ha sorriso amaramente: qualcuno ha fatto anche peggio, il sottinteso. E chi meglio di lui può dirlo? Il 15 settembre 1982, Inter-Slovan Bratislava di Coppa delle Coppe, Beccalossi sbagliò due penalty nella stessa partita: il primo a lato, il secondo respinto, con tap-in stoppato ancora dal portiere. L’Inter vinse lo stesso, ma quell’episodio entrò nella letteratura calcistica italiana e ancora oggi racconta una verità semplice: i rigori li sbaglia solo chi ha il coraggio di tirarli.
Tre rigori in otto minuti
La notte dell’Olimpico è stata persino più surreale: tre tiri dal dischetto in otto minuti, tre esiti negativi, con una ripetizione concessa per il richiamo alla regola che impone al portiere di tenere almeno un piede sulla linea al momento dell’esecuzione. È un obbligo, non un arbitrio. Rara? Rarissima, ma non inedita: la memoria corre a quelle pagine d’archivio anni Ottanta, quando in Italia capitò una sequenza da cinegiornale fra ripetizioni e parate che finì nel mito televisivo.
La risposta sta nel campo
Beccalossi, se lo interpellassi oggi, probabilmente allungherebbe il ragionamento: la psicologia pesa, il tempo si restringe, la porta si fa piccola. E aggiungerebbe che la risposta vera sta nel campo — non nel rumore. La Roma ha un campionato davanti e un’Europa da onorare: i giorni successivi al tonfo sono quelli decisivi. Per rimettere il pallone sul dischetto, zittire la memoria e — stavolta — spedirlo dove conta.