Rosella Sensi non alza la voce, ma traccia una mappa chiara. C’è un passato fatto di volti, frasi, abbracci sotto la Sud; e c’è un presente che preferisce parlare tramite scelte, strutture, risultati. «È stata una scelta chiara», dice dell’attuale proprietà, senza rimproveri, solo constatazioni. Nel mezzo, una città che chiede ancora una parola dal presidente e un club che, intanto, prova a crescere con manager e competenze — dentro cui lei inserisce anche la figura di Ranieri, “scelta importante”.
Presenza vs silenzio
Il modello di Franco Sensi fu pubblico: il presidente come scudo e simbolo, pronto a esporsi nel bene e nel male. Quello dei Friedkin è più asciutto, quasi manageriale. In un calcio globalizzato, dove l’azionista può vivere a migliaia di chilometri, il messaggio diventa execution, non dichiarazioni. Il tifo romano — che vive di storie e riconoscimenti — fatica ad abituarsi al silenzio; ma i processi, ricorda Rosella, sono cambiati: contano governance, sostenibilità, filiere decisionali.
La parola che manca (e perché conta)
A Roma la parola del presidente ha un peso rituale: calma le maree, ordina le narrazioni, rende “pubbliche” le intenzioni. Eppure, se l’organizzazione regge e la squadra cammina, il profilo basso diventa uno stile. Rosella invita all’equilibrio: meriti a chi lavora (anche a chi sceglie profili come Ranieri), attenzione al sentimento popolare, e consapevolezza che si può guidare senza sovraesposizione. Due strade diverse alla stessa meta: dare stabilità, competere, far sentire il club vicino alla sua gente — con la voce, o con i fatti.