La conferenza stampa della vigilia non l’ha colto di sorpresa: Evan Ndicka parla con la serenità di chi ha imparato a conoscersi, e a riconoscere il momento. Ha visto il Lille — «è una bella squadra, veloce davanti» — perché la Ligue 1 la segue da sempre. E soprattutto ha voluto chiarire il tema più atteso: la condizione. I crampi post-Verona sono stati un segnale, non un allarme: «Sto bene, mi alleno facile e bene, spero di essere pronto per domani». Poi una dichiarazione di appartenenza, quasi domestica: «Fuori dal campo sto molto a casa; in palestra lavoro di più. Qui a Roma mi sento bene».
Forma e ruolo: stabilità da leader
Il fisico c’è, la testa pure. Ndicka non fa proclami, preferisce i fatti: continuità di prestazioni, letture pulite, quella naturale leadership silenziosa che tiene la linea alta e la squadra corta. Sulle posizioni, zero rigidità: «Mi sento bene dove mi mette il mister. A sinistra è naturale, ma posso adattarmi». Il punto è la crescita, parola che ricorre spesso nel suo lessico: più forza nelle prime pressioni, più aggressività nei duelli, più pulizia nelle prime uscite. Segnali che, dentro il calcio uomo-su-uomo di Gasperini, valgono doppio.
Voglia di Roma: il presente che diventa progetto
La risposta più netta è nello sguardo: Ndicka qui sta bene e qui vuole migliorarsi. L’idea è restare per completare il salto: consolidare la fase senza palla — che finora è un manifesto di solidità — e aggiungere dettagli (tempi d’anticipo, conduzioni coraggiose, qualche palla inattiva attaccata meglio). Il francobollo all’avversario è una promessa al gruppo: meno rumore, più sostanza. La Roma riparte dalla sua corazza, Ndicka la indossa ogni tre giorni.