C’è un dato che fotografa bene la prima metà di stagione: la Roma ha costruito la sua classifica soprattutto con l’undici “tipo”. Gasperini ha ruotato – tra infortuni, squalifiche e scelte tecniche – ma quando la partita si rompe, raramente è la panchina a rimetterla in piedi.
Tanti utilizzati, ma pochi davvero determinanti
In Serie A sono stati impiegati circa 20 giocatori, eppure la sensazione è che l’impatto resti concentrato su una colonna vertebrale precisa. Non è un caso se alcuni pilastri hanno praticamente sempre giocato: la Roma è diventata affidabile perché ha trovato certezze, ma il rovescio è che senza “spinta” da chi entra si rischia di essere prevedibili, soprattutto quando i match si bloccano.
Gasperini, su questo, è sempre lo stesso: opportunità sì, regali no. Chi entra deve portare energia e cambiare ritmo, non solo “coprire” minuti.
Gol e bonus: quasi zero effetto panchina
I numeri sono freddi, ma dicono la verità: fin qui i gol arrivati da subentrati sono pochissimi. Due lampi, in sostanza: Dovbyk con un gol pesantissimo (di quelli che valgono punti veri) e Ferguson con una rete che ha arrotondato un risultato già indirizzato. Per il resto, poco o nulla.
E sugli assist non va molto meglio: è difficile ricordare un ingresso dalla panchina che abbia davvero creato la giocata decisiva in campionato. Tradotto: la Roma, quando deve cambiare passo, spesso non lo cambia.
Chi sale e chi resta indietro
Dentro questo quadro, qualche indicazione c’è. Çelik è l’esempio di come si possano scalare gerarchie: chiamato in più ruoli, ha risposto con solidità e affidabilità, diventando un “titolare aggiunto”. Baldanzi sta iniziando a mettere più cattiveria nelle entrate, mentre i giovani (Pisilli, Ghilardi e compagnia) restano un capitale che Gasperini sta gestendo con prudenza.
Le note stonate, invece, sono quelle di chi doveva dare scosse e non le ha date: El Shaarawy utile per atteggiamento ma ancora senza peso nei numeri, e soprattutto Bailey, rimasto finora un’incognita tra stop e prestazioni senza impronta.
Il punto, per la Roma, è semplice: se vuole fare davvero il salto Champions, deve trasformare la panchina da “necessità” a “arma”. Perché le partite decisive, da febbraio in poi, spesso le vinci anche con chi entra.