C’è chi ricorda Fabio Simplicio per la sua leggerezza in campo, e chi per quel sorriso da “brasiliano vero” che non si è mai spento. Nell’intervista alla Gazzetta dello Sport, l’ex centrocampista torna soprattutto su un punto: la Roma non è stata solo una squadra, ma un’esperienza totale. Bellissima. E complicata.
L’arrivo a Roma: il richiamo di Totti e De Rossi
Simplicio non ci gira attorno: la scelta della Roma nasceva dal prestigio e dal desiderio di vivere lo spogliatoio con due simboli. Da un lato Francesco Totti, dall’altro Daniele De Rossi, raccontato con un’immagine che fa sorridere ma dice molto: Daniele “brasiliano mancato”, anima festaiola ma anche esempio, “un tifoso in campo”. In poche parole: romanità pura, dentro un corpo da leader.
Una piazza che ti abbraccia… e ti mette alla prova
Il passaggio più interessante, però, è quello sull’ambiente. Simplicio descrive Roma come una piazza “stupenda” ma durissima sul piano mediatico: radio, voci, giornali. Racconta di aver letto cose false su di lui proprio quando era infortunato e non giocava. È la fotografia di un posto che ti esalta, ma che se non sei dentro al campo ogni domenica può trasformare il silenzio in sospetto.
Aneddoti, gruppo e quel “Francesco” che emoziona
Simplicio si porta dietro anche l’immagine più romantica: dice di essersi emozionato due volte, davanti a due persone che portano lo stesso nome. Un Francesco incontrato a Trigoria (Totti), e un altro a San Pietro (Papa Bergoglio). Due “colossi”, ognuno a modo suo, che gli hanno lasciato il cuore che batteva forte.
E poi il gruppo: tanti brasiliani, tanta allegria, qualche eccesso (ammesso con autoironia), ma anche un senso di famiglia che in quegli anni, a tratti, era la vera forza della squadra.