Intervistato da Cronache di Spogliatoio e Rivista Undici, Tiago Pinto è tornato a parlare dei suoi tre anni alla Roma, dal gennaio 2021 al 2024, oggi con la distanza di chi lavora già altrove – al Bournemouth – ma non ha chiuso il conto emotivo con la Capitale.
Sa bene quali nomi vengano citati quando si parla delle sue ombre – Viña, Renato Sanches, Shomurodov – e non prova a negarli. Ma ci tiene a bilanciare il racconto: “Qualcosa di buono è stato fatto”, sottolinea.
I colpi rivendicati: Svilar, Ndicka, Celik
Pinto sceglie tre esempi simbolici: Svilar e Ndicka presi a parametro zero, Celik pagato 7 milioni. Operazioni che, anche nella sua lettura, nascono da una condizione precisa: pochi soldi a disposizione, obbligo di trovare “soluzioni” creative più che colpi a effetto.
Dietro c’è il messaggio: il lavoro di un direttore sportivo non può essere ridotto a tre errori di mercato, soprattutto in un contesto condizionato dal fair play finanziario e da paletti economici stringenti.
Coppe europee e giovani: l’altra faccia del bilancio
Sul piano sportivo, Pinto ricorda una Roma che, con lui in cabina di regia, ha messo in fila una semifinale e una finale di Europa League e soprattutto la vittoria della Conference League. Non abbastanza per chi sognava stabilmente la Champions, ma comunque un ciclo con trofei e percorsi europei di livello.
L’altra eredità che rivendica è quella del settore giovanile: da Zalewski a Bove, da Calafiori a Pisilli, fino a Marin, oggi terzo portiere del PSG. Una crescita che, secondo Pinto, è stata possibile anche grazie al ruolo di Mourinho, bravo a dare spazio ai ragazzi nei momenti chiave.
Il riassunto è nelle sue parole finali: “Considerando la situazione economica, abbiamo fatto tanto con poco”. Un bilancio che non chiude il dibattito, ma aggiunge qualche elemento in più alla storia recente della Roma.