Quando Mario Rui arriva alla Roma, l’entusiasmo dura pochissimo: in ritiro si rompe il crociato e la sua avventura giallorossa sembra finire prima ancora di cominciare. Lo racconta lui stesso: si sentiva “a terra psicologicamente”, mai davvero bene dal punto di vista fisico, con la sensazione di non riuscire a dimostrare nulla.
In quel momento, il punto di svolta ha un nome preciso: Luciano Spalletti. Prima di un Roma-Palermo, il tecnico lo prende da parte e gli dice che gli darà comunque fiducia, “anche se non stai bene”, perché se lo merita per come si sta allenando. Parole che per un giocatore in ricostruzione valgono quanto un gol.
Mario Rui parla di un allenatore che “non lo ha abbandonato nei momenti più complicati”, al quale ha provato a dare tutto se stesso, ricevendo in cambio rispetto e stima. Un legame che poi si è rinnovato a Napoli, fino allo Scudetto.
Totti, DDR, Salah e Nainggolan: quanta Roma in quegli anni
Nell’intervista c’è spazio anche per i ricordi di campo. Alla domanda sul giocatore più forte con cui abbia mai giocato, Mario Rui non ha dubbi: Totti, persino nell’ultimo anno di carriera, aveva “colpi assurdi”.
Ma l’album di quella Roma è pieno di facce pesanti: De Rossi, Salah, Nainggolan. Una rosa che, secondo il terzino portoghese, aveva più talento del Napoli campione d’Italia, anche se il Napoli di Spalletti poteva contare su uno spirito di gruppo “incredibile”.
Parole che, a distanza di anni, restituiscono l’immagine di una Roma forse incompiuta, strapiena di qualità ma incapace di trasformarla in titoli. Con un filo che unisce tutto: la figura di Spalletti, capace di lasciare il segno sia su chi ha fatto la storia, sia su chi a Roma è rimasto solo di passaggio.