Infortunio Dybala, l’allarme dell’ex: «Alla Roma non bastano i forti, servono “antifragili”»

L’ex preparatore giallorosso Luca Franceschi a La Repubblica rilancia un concetto chiave: migliorare sotto stress, non solo resistere

Jacopo Mandò -
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Dybala
Dybala a Trigoria: il tema “antifragilità” – Romaforever.it

Prima Dybala, poi Bailey. Due stop muscolari che riaprono la domanda più scomoda: come si spezza il circolo vizioso degli infortuni? Luca Franceschi, ex preparatore atletico della Roma, prova a cambiare lessico e prospettiva: «Il contrario di fragile non è forte, è antifragile». Non basta “reggere”: in un calcio accelerato, tecnico e cognitivo, bisogna migliorare sotto stress.

“Antifragili” vs “forti”: la differenza che conta

Franceschi lo spiega semplice: essere forti significa resistere; essere antifragili significa crescere nell’imprevisto e nell’intensità. È lì che oggi tanti calciatori si rompono: non per carenze di palestra, ma perché il gioco richiede scatti mentali e motori a 30 all’ora. Se il cervello non anticipa, il corpo paga.

Il paradosso della prevenzione: tecnologia sì, ma non basta

Monitoraggi, nutrizionisti, analisi posturali, sonno tracciato: la prevenzione classica è al top. Il punto, per l’ex Roma, è un altro: allenare il gesto tecnico in condizioni reali di velocità, non sterilizzate. Insomma, spostare il focus dal “quanto” al “come” si carica, perché il calcio moderno non si gioca di più: si gioca più forte.

Ricette pratiche: individualizzare carichi e… cultura del lavoro

Non tutti i corpi sono uguali. C’è chi regge 45 partite, chi no. Invece, quando una squadra vince, si tende a cambiare poco e qualcuno si logora. La via indicata da Franceschi: percorsi individuali, gestione dei minutaggi, lavoro integrato su respiro, ansia, recupero, più esposizione a situazioni ad alta intensità in campo. Un tavolo unico tra preparatori, medici e staff tecnico per cucire addosso il programma.

Roma, messaggio chiaro

Il caso-Dybala riaccende il tema: gli stop non si azzerano, ma si governano. L’obiettivo non è avere undici “maratoneti”, bensì un gruppo adattivo, capace di performare dentro la fatica. È la frontiera dell’“antifragilità”: meno gestione di emergenza, più cultura dell’intensità intelligente.