Finisce la partita, finisce un’epoca. Nell’intervista con Luca Toni, Totti torna sul momento più difficile: il dopo. Non il giorno dell’addio in sé, ma il vuoto che lo segue, la fatica di reinventarsi quando l’uniforme si sfila e resta la persona.
Il vuoto e la paura
“Quando ho smesso di giocare mi sentivo senza terra sotto i piedi… Non sapevo cosa fare, cosa pensare, come organizzarmi”. La routine di una vita intera si spezza: “Per tre settimane ho pianto tutti i giorni. Ero spaventato, sentivo un’atmosfera paurosa”. Non c’è retorica: c’è l’uomo davanti a un prima e un dopo.
La lettera e l’ultimo addio
“Rileggevo in bagno la lettera di addio e piangevo”. L’idea di una partita finale svanisce proprio nel suo contrario: “Dopo le emozioni di quel giorno all’Olimpico ho capito che non ci sarebbe potuto essere un altro addio… Quel giorno per me è stato come un distaccamento tra madre e figlio”. È l’immagine della Roma come origine: separarsi per restare uniti in un altro modo.
Cosa ci insegna
Che il calcio finisce, ma la relazione no. Che i simboli cambiano forma, non sostanza. E che si può smettere di giocare senza smettere di appartenere.