Dal “sì” alla Roma allo shock d’amore
Il viaggio di Evan Ferguson verso Roma è stato una scelta, non una fuga. Dopo 4-5 anni in Inghilterra, l’irlandese ha avvertito la necessità di un cambio di marcia: «Volevo provare qualcosa di nuovo: è arrivata la Roma ed è difficile dire no a un club del genere». E quando è atterrato a Fiumicino ha capito subito che l’idea di “grande club” era persino riduttiva: «Sapevo che la Roma fosse grande, ma è molto più grande di quanto pensassi. I tifosi sono “pazzi” per la squadra». L’accoglienza dello spogliatoio ha fatto il resto: «La maggior parte dei compagni parla inglese. E il cibo… beh, in Italia è molto meglio».
Il metodo Gasperini: intensità, disciplina, tattica
Se l’impatto umano è stato immediato, quello calcistico è stato radicale. Gli allenamenti “alla Gasperini” hanno già lasciato un segno: «Sono molto diversi dall’Inghilterra e molto più intensi. I giorni liberi sono rari: quando capitano, è quasi una festa». C’è disciplina da professionisti veri: ritiro la notte precedente, casa o trasferta non fa differenza. In campo, poi, la mappa cambia: «Qui è tutto più tattico: ogni settimana affronti squadre con sistemi diversi e si gioca spesso uomo contro uomo. In Inghilterra è più “avanti e indietro”».
Dentro il sistema: la punta moderna che serve
Nella Roma, Ferguson sta imparando a muoversi dentro un quadro preciso: letture sugli scivolamenti, tempi d’appoggio, pressing coordinato. L’istinto da prima punta moderna deve sposarsi con le richieste del tecnico: occupare l’area, ma anche legare il gioco, farsi trovare tra le linee e attaccare lo spazio giusto. È un percorso: l’anticamera di un rendimento che può esplodere quando la testa e le gambe saranno perfettamente allineate al nuovo habitat. L’irlandese non cerca scorciatoie: accetta le regole, sfida la fatica e si mette in fila con umiltà. Perché, come ha detto lui stesso, è un “buon cambiamento” — e la Roma ha bisogno che diventi presto un grande cambiamento.