De Sisti: “Ero un regazzino del Quadraro, sono arrivato alla finale della coppa del mondo”

“Picchio” De Sisti si è raccontato in un’intervista a La Gazzetta dello Sport

Jacopo Pagliara -
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Giancarlo De Sisti
Giancarlo De Sisti (foto roma.corriere.it)

Giancarlo De Sisti, storico calciatore e autentica leggenda giallorossa, è tornato a parlare della Roma e dei momenti più significativi della sua carriera. Lo ha fatto nel corso di un’intervista concessa in esclusiva a La Gazzetta dello Sport, nella quale ha ripercorso episodi legati al suo passato da protagonista in campo, ma anche riflessioni più ampie sul calcio di oggi e sul legame indissolubile con i colori giallorossi.

Con la consueta eleganza e lucidità, Picchio De Sisti ha condiviso aneddoti, ricordi e considerazioni che testimoniano quanto Roma e la Roma abbiano rappresentato, e rappresentino tuttora, una parte fondamentale della sua vita sportiva e personale.

Le parole di Giancarlo De Sisti

De Sisti, che bilancio fa della sua vita?

Ero un regazzino del Quadraro, sono arrivato alla finale della coppa del mondo all’ Azteca contro il Brasile di Pelé: e chi l’avrebbe anche solo sognato? A scuola ero una campana, tirando calci a un pallone sono diventato commendatore della Repubblica. (…) Sa cosa le dico? Sono un uomo fortunato”.

Tutto è cominciato con sua madre che temeva lei si beccasse il raffreddore.

“Mio padre mi comprava il pallone, lei lo bucava con il coltello. (…) Mia madre impose l’aut aut: “O gli trovi una squadretta che abbia uno spogliatoio con la doccia o smette col calcio”. Mio padre mi portò alla Mario Forlivesi, da lì andai alla Roma in cambio di una muta di undici maglie e la promessa che mi avrebbero dato da mangiare almeno una bistecca al giorno. Gli amici mi dicevano: “T’hanno pagato pure troppo””.

Giancarlo De Sisti in visita a Trigoria
Giancarlo De Sisti in visita a Trigoria (X -@OfficialASRoma)

Alla Roma lei incontra il suo mito, Pepe Schiaffino.

Mi ha insegnato tutto. Mi ha trasmesso l’abilità nell’intercettare il pallone. Mi diceva: “Devi avere un radar in testa, quando l’avversario avanza non avere fretta, se alza lo sguardo tu fissalo negli occhi. Se anche il pallone ce l’ha lui, deve capire che il padrone della situazione sei tu””.

Diciannove anni di Serie A e due sole squadre, Roma e Fiorentina.

Roma è casa, Firenze lo è diventata. Andai alla Fiorentina che avevo 22 anni, la Roma aveva necessità di fare cassa (…). Qualche lacrima la versai, ma i fiorentini mi accolsero come se fossi un giocatore vero.

Si sarà divertito anche con Nils Liedholm a Roma.

Tutto in lui era fantasia mescolata a realtà. Un giorno in spogliatoio stiamo commentando Nino Benvenuti battuto da Monzon. Il Barone sbuffa e racconta che una volta a Norrkoping (…) ha visto un uomo (…) che stava per violentare una ragazza, così si è avvicinato: “Con mano destra alzato lui venti centimetri da terra e con mano sinistra dato uppercut sul mento: uomo rimasto coma venti giorni””.