Da oltre un mese, Luciano Spalletti è senza panchina. Dopo la conclusione della sua esperienza alla guida della Nazionale italiana, l’ex commissario tecnico si sta concedendo un periodo di riflessione lontano dai riflettori, trascorrendo il suo tempo in Toscana, immerso nella tranquillità del suo podere, dove si dedica al lavoro nei campi e alla vita rurale che tanto ama.
In questo momento di pausa dal calcio, Spalletti ha trovato l’occasione per tirare il fiato e valutare con calma il futuro. Nonostante l’assenza da un club, l’interesse intorno al suo nome resta alto, soprattutto per ciò che ha rappresentato in passato.
Nel corso di una lunga e intensa intervista rilasciata in esclusiva al quotidiano La Repubblica, l’ex allenatore, che ha vissuto due significativi cicli alla guida della Roma, ha toccato diversi temi legati alla sua carriera, al calcio italiano e alle sue prospettive. Ecco di seguito un estratto delle sue dichiarazioni più significative.
Le parole di Luciano Spalletti
Spalletti, inutile girarci attorno: bisogna ripartire da lì, la sconfitta con la Norvegia, i Mondiali subito a rischio, l’esonero da CT della Nazionale.
“Non mi passa mai. Mi toglie il sonno, mi condiziona in tutto, perché il pensiero torna sempre lì. Certe volte mi sembra di essere felice, poi però dopo un attimo mi torna in testa quella cosa lì. Non sono riuscito a far capire ai ragazzi che gli volevo bene”.
Un suo amico, Walter Sabatini, ci ha detto che crede sia il più grande dolore sportivo della sua vita perché lei era calato nel ruolo di ct in maniera assoluta.
“Quando mi hanno proposto di guidare la Nazionale non ci ho dormito due giorni: la cicatrice sarà dolorosa anche quando avrà fatto il suo percorso di guarigione”.
Pensa sia stato un errore accettare quell’incarico?
“No. Anche perché la Nazionale non chiede, la Nazionale chiama. Non si sceglie se accettare, non c’è una riflessione razionale da fare. Quando la Nazionale chiama, deve gonfiarsi il petto e devi metterti a piena disposizione… Ecco, forse questo è uno dei concetti che stiamo perdendo”.
Lo ha detto ai calciatori?
“Il mio errore è stato, all’inizio, pigiare troppo su questo senso di appartenenza, di identità. Chiedere di cantare l’inno. Di fare un grido di battaglia prima di ogni allenamento. Volevo stimolare quell’orgoglio che provavo io, ma è stato troppo“.
Certo lei non ha mai avuto una stampa particolarmente a favore.
“La chiarezza si paga, ma ti fa stare bene con te stesso. Vengo percepito come uno di rottura, perché i miei amici sono quelli con cui sto bene, non quelli che mi danno dei vantaggi. Non vado a giocare a padel per farmi amici di comodo”.