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Sarri: "Di Francesco è bravo, la Roma è forte. Ma il mio Napoli è lanciato"

Lunedì 09 ottobre 2017
Il primato non è una no­vità, per lui. In testa alla classifica di Serie A c'è già stato nel suo primo campionato col Napoli, 2015­-16, ed anche per un peri­odo piuttosto lungo: 6 giorna­te, dalla diciannovesima alla ventiquattresima. Poi, il gol di Zaza a pochi minuti dalla fine, nello scontro di diretto di Tori­no, contro la Juventus, e il sorpasso dei bianconeri che vince­ranno il quinto scudetto. Sta­volta, però, il suo Napoli è lassù dall'inizio del campionato ed ha un solo obbiettivo: vincere lo scudetto, anche se lui frena prima ancora d'iniziare l'inter­vista. «Calma, la Juve attuale è la più forte degli ultimi 7­8 an­ni, ha un organico di grande qualità insieme ad un allenato­ re straordinario».

E, dunque? «Per me, resta la favorita anche stavolta e sarebbe presuntuoso paragonarsi a loro. Non so an­cora quale potrà essere il nostro 100 per cento, ma so che non siamo l'anti­-Juve che, adesso, è di un altro livello».

Il primo posto in classifica, però, non è casuale, da due anni il suo Napoli incanta per la spettacolarità del gioco e per la continuità nei risultati. «Parlare di primato dopo 7 par­tite è relativo, è un tratto di per­ corso talmente breve che non è da considerarsi indicativo. La sensazione è piacevole, ma il momento in cui si decide la sta­gione è ancora lontano».

Secondo anno consecutivo in Champions, segno che il progetto da lei avviato va avanti e potrebbe completarsi vincendo lo scudetto: ci sarà ancora Napoli nel suo futuro? «A livello contrattuale si, ma c'è una clausola che permette so­luzioni alternative a me e alla società. In questo momento, però, è l'ultimo dei miei pensie­ri. Mi sento legatissimo alla cit­tà e a questo gruppo, poi so che le cose a un certo punto finiscono in maniera naturale».

De Laurentiis la vorrebbe in panchina per i prossimi dieci anni. «Al presidente devo qualcosa. È stato l'unico ad aver avuto gli attributi ingaggiandomi. Per me questo è importante, spero che lo stia ripagando. Ci sono tante valutazioni da fare sulla clausola, è bilaterale, non è so­ lo dalla mia parte».

Intanto sabato, alla ripresa, affronterete la Roma nel primo scontro diretto: sensazioni? «Di Francesco è molto bravo, la Roma è forte. Le insidie della trasferta sono palesi, la squa­dra forte ti mette in difficoltà sicuramente. Fin qui ne ha vin­te 5 e persa 1 ed ha una partita da recuperare. È sicuramente competitiva, ma il mio Napoli è lanciato».

Quanti meriti ha Luciano Spalletti nel rilancio dell'Inter? «È un allenatore top a livello europeo, ha dato entusiasmo una solidità im­pressionante alla squadra in un mese e mezzo soltanto. Stanno tornando, sono stati competitivi da subito, era an­ che impensabile che l'Inter rima­nesse fuori dai vertici per tanti anni».

Ha mai pensato che sarebbe potuto essere l'allenatore del Milan se Berlusconi avesse ascoltato i consigli di Arrigo Sacchi? «Non sarei durato troppo se è vero quello che ho letto sulle sue intercessioni nel lavoro del­l'allenatore. Un presidente che si comporta così difficilmente vince. Invece, lui ha vinto tan­tissimo, è stato un grande diri­gente e, dunque, credo che quello che si dica di lui sia più leggenda che grande verità».

Se l'aspettava quest'inizio poco convincente di Montella?
«È stata fatta una campagna ac­quisti importante, ora va fatto un percorso. In questo momen­to il Milan non è valutabile, perché potrebbe essere una squadra destinata a crescere velocemente. Bisogna avere pazienza».

La critica l'accosta spesso a Sacchi, per questioni tattiche e per la qualità del gioco che sa imporre. «Per me, il para­gone è un insul­to ad Arrigo. Lui, ha vinto tanto, io niente. La mia è un'innovazio­ne parziale, la sua è stata totale, quindi è un accostamento per me gratificante, ma non penso sia possibile, in generale. Lui ha scritto la storia del calcio in risultati ed innovazioni e se non ci fosse stato lui, io non sa­ rei esistito: il mio interesse tat­tico è nato grazie a lui».


Pep Guardiola ha dichiarato di apprezzare molto il suo calcio: ritiene improponibile anche questo paragone? «Diciamo che il mio calcio è si­mile al suo, anche se lui si è evoluto negli anni. Con Bayern Monaco e Manche­ster City qualcosa è cambiato rispetto a Barcellona. La filo­sofia è rimasta la stessa, ma i movimenti li ha modificati, difende e attacca con modu­li diversi».

Tra poco più di una settimana se lo ritroverà contro per il terzo turno di Champions: è già un dentro o fuori per il suo Napoli? «Trovarmelo di fronte sa­rà emozionante. Lui è un talento, un fenomeno in evoluzione, credo che il suo calcio se­gnerà quest'epoca. Fare punti nel dop­pio scontro col Man­chester City potreb­be fare la differenza in questo girone».

Anche Del Piero s'è detto innamorato del suo calcio, avrebbe lavorato volentieri con lei. «Anch'io l'avrei voluto. Certe cose dette da un fuoriclasse co­ me lui mi riempiono d'orgo­glio, il piacere sarebbe stato reciproco».

Cosa pensa quando sente parlare di sarrismo, a proposito delle sue idee calcistiche? La sua è intesa come una nuova corrente di pensiero calcistico. «Non saprei, il calcio l'ho sem­pre pensato così, poi nel corso degli anni si possono anche cambiare certe idee. Il mio è stato un percorso è stato la somma di tante esperienze ma­ turate, e ora sono anche meno fondamentalista di prima, adesso bado di più alle caratte­ristiche dei giocatori, rispetto a qualche anno fa. Il mio Napoli ha tecnica e fantasia, può espri­mere questo tipo di calcio, che non è detto possa essere repli­cabile in altri contesti».

Qual è l'allenatore che è più vicino alle sue idee, al momento? «Uno che interpreta il calcio al­la mia maniera e fa cose impor­tanti è Marco Giampaolo, che stimo come allenatore e come persona».

La fa arrabbiare l'etichetta di lamentoso? «Io non mi lamento mai di me e della mia squadra, sono inna­morato del calcio e mi piace­rebbe vederlo giocato nella sua massima espressione. Non ho mai incolpato nessuno quando perdo, se mi lamento di qualco­sa lo faccio dopo una vittoria».

In Serie A c'è tanta differenza tre le prime 5 e tutte quante le altre. Il suo presidente vorrebbe ridurre il numero delle squadre da 18 a 16. «La riforma dei campionati penso sia inevitabile ma starei attento a diminuire il numero delle squadre. La passione sca­tena amore per la propria squa­dra, ma anche per il calcio in ge­nerale, quindi si sottoscrivono abbonamenti a stadi e pay tv».

La Nazionale vive un momento di particolare difficoltà: cosa non sta andando, secondo lei? «La Nazionale non è più indica­tiva del movimento calcistico del Paese, le squadre sono pie­ne di stranieri. Sono più indica­tivi i risultati delle nostre squa­dre di club in termini interna­zionali».

Accetterebbe di guidare la Nazionale? «In questo momento no. Poi, l'età avanza, magari tra 2­3 an­ni potrei cambiare idea come è successo in tante altre cose».

L'attualità parla della Var e delle polemiche che sta scatenando: da che parte sta? «Io sono dubbioso, toglie spon­taneità ed entusiasmo. Segni, ma l'esultanza è più contenuta, perché non sai se il gol viene convalidato. Qualche errore viene evitato, ma è in fase di sperimentazione. Comunque, sarei per un uso molto modera­to».

Darebbe la maglietta numero 10 del Napoli a Insigne? «Gli darei anche la 20, la 30, quella che gli piace di più. Sono contrario al ritiro delle maglie, la penso come Del Piero: non si possono togliere i sogni ai bam­bini e alla gente, il bambino che comincia a giocare e tifa Juve deve sognare di essere il nuovo Del Piero, quello della Roma il nuovo Totti. Per Maradona l'ec­cezione si può fare, sono d'ac­cordo sul ritiro della maglia: Diego non è stato soltanto un calciatore per questa città».

Higuain: manca più Sarri a lui o viceversa? «Affettivamente ci manchiamo a vicenda, abbiamo avuto un ottimo rapporto, è un ragazzo particolare ma di cuore, era sempre piacevole parlare e scherzare con lui. Il calcio è questo, le strade a volte si divi­ dono per tanti motivi e se ti piangi addosso, perché hai per­ so un giocatore, sei morto. Bi­sogna guardare oltre».

La vedremo in panchina, un giorno, senza la tuta? «In campo mi sentirei fuori luo­go in giacca e cravatta e finora non ho cambiato idea».

Baratterebbe il vizio del fumo con lo scudetto? «A me piacerebbe vincerlo fu­mando».
di M. Malfitano
Fonte: Gazzetta dello Sport
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