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Da Pedro a Carles Perez, è una Roma alla spagnola

Personalità, gol ed esperienza: i due iberici, insieme a Borja Mayoral e Villar, hanno lasciato il segno nella sfida con il Benevento. Una storia di grandi nomi, da Peirò a Del Sole a Guardiola
Lunedì 19 ottobre 2020
Nella Roma non ce ne erano mai stati così tanti tutti insieme. Con Pedro a guidare il plotone, aspettando che presto possa rialzarsi anche Pau Lopez. In mezzo, però, ci sono poi Borja Mayoral, Villar e Carles Perez. Insomma, cinque volti spagnoli, un'anima nuova per la Roma di Paulo Fonseca. Un cambio di tendenza rispetto al passato, quando brasiliani e argentini erano soliti griffare la storia straniera dei giallorossi (il record assoluto parla di 8 brasiliani nel 2010-11: Adriano, Taddei, Julio Baptista, Cicinho, Doni, Juan, Julio Sergio e Simplicio). Oggi, invece, la Roma ha un'identità spagnola e anche contro il Benevento l'alma iberica ha lasciato il segno: con Pedro capace di fare la differenza per tutta la partita (non solo per il gol e per il rigore procurato) e gli altri bravi ad entrare bene in corsa, stropicciando gli occhi un po' a tutti per giocate e voglia.

DON PEDRO — Già, perché l'uomo in più di questa Roma oggi sembra proprio Pedro. Acquisto forse un po' sottovalutato dalla grancassa mediatica, lo spagnolo finora si è dimostrato di altissimo livello per personalità, carattere, voglia e qualità tecnica. Che fosse forte e decisivo lo si sapeva (basta pensare al suo passato ed al suo palmares per intuirlo), ma che si potesse calare così bene - fin da subito - nello scacchiere giallorosso forse era più complicato prevederlo. Ed invece Pedro ha portato nella Roma brio, imprevedibilità e mentalità vincente. "Il nostro obiettivo è lo scudetto", ha già detto in un paio di circostanze, dopo la partita di Udine e anche ieri sera, subito dopo il 5-2 al Benevento. Se poi Pedro ci creda davvero o meno questo non si sa, di certo però l'attaccante di Tenerife sa bene che per entrare in Champions bisogna guardare oltre. Alzare l'asticella, puntare al massimo per poi raccogliere il giusto. Insomma, se si dovesse pensare solo al 4° posto il rischio sarebbe di chiudere più giù. Ed allora meglio allargare gli orizzonti e pensare in grande. D'altronde Fonseca lo ha voluto anche per questo, per dare alla squadra un upgrade dal punto di vista della mentalità vincente.

GLI ALTRI — Ieri, però, nel finale sono entrati anche Villar, Carles Perez e Borja Mayoral (mentre per Pau Lopez l'occasione propizia dovrebbe arrivare giovedì in Europa League, in casa dello Young Boys). E se è vero che Borja ha avuto pochi minuti per mettersi in luce, è anche vero che gli altri due hanno rubato gli occhi per un paio di giocate da applausi. Villar si è reso protagonista del gol del 4-2, con una ripartenza dal limite della sua area di rigore condita poi da un dolce dribbling in mezzo al campo e dal lancio in verticale per Mkhitaryan (che poi ha servito l'assist per il gol a porta vuota di Dzeko). Carles Perez, invece, un gol lo ha proprio segnato - quello del 5-2 - con uno strepitoso affondo da centrocampo chiuso poi con doppio dribbling e rete alla sinistra di Montipò. Insomma, modo per farsi notare e per far capire che sono molto più di semplici cambi lo hanno avuto entrambi. E lo hanno anche sfruttato bene.

LA STORIA — La Roma di oggi, dunque, parla sempre più spagnolo. E finora, nella sua storia, non era mai successo. Il primo giocatore iberico a vestire la casacca dei giallorossi fu Peirò (1966-70), che a Roma vinse una Coppa Italia e divenne anche capitano. Poi altri otto: Del Sol, Helgueira, Cesar Gomez (il peggiore di tutti), Guardiola (che a Roma fu squalificato 4 mesi per essere risultato positivo al nandrolone), Bojan (arrivato con le stimmate del fenomeno), José Angel, Iago Falque (in campo ieri da ex) e Marcano. Ora ci sono loro cinque, con Pau Lopez che ha aperto il percorso la scorsa estate. Peirò a parte, nessuno ha mai inciso davvero, nessuno ha lasciato il segno. Ora la storia può cambiare anche da questo punto di vista. Tocca a Pedro riuscirci, ma anche agli altri quattro.
di Andrea Pugliese
Fonte: Gazzetta dello Sport
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