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Crisi evidente ma il problema non è l'assenza

Giovedì 29 novembre 2018
Ci risiamo! Il giorno dopo la sconfitta si riparte da vecchi preconcetti e dai soliti luoghi comuni che fanno torto all'intelligenza stessa dei tifosi. La Roma sarebbe sull'orlo del baratro perché il presidente giallorosso James Pallotta non sta nella Capitale, perché si «sente» la sua assenza, o magari perché non fa un blitz negli spogliatoi durante l'intervallo come facevano Viola o Sensi. Ma dai... Il concetto detto così potrebbe anche non fare una piega se non fosse che Pallotta era il presidente della Roma anche quando la squadra vinceva le partite, veniva applaudita per il suo gioco, arrivava seconda in campionato o regalava ai suoi tifosi una serata magica come quella contro il Barcellona, o una semifinale di Champions. Era sempre la stessa gestione, e tra l'altro c'era sempre Di Francesco in panchina (almeno per quanto riguarda lo scorso anno), l'uomo che in molti adesso vorrebbero sul patibolo. Si, forse nemmeno lui pensava che quella panchina potesse essere così pesante nonostante il suo passato da calciatore giallorosso qualche cosa in questo senso glielo aveva fatto intendere eccome. E a chi fa la lista della spesa ricordando il lungo elenco dei giocatori venduti sotto la gestione americana, bisognerebbe ricordare che era stata proprio la stessa gestione ad averli comprati qualche mese o anno prima. Ad eccezione di De Rossi, prodotto del vivaio giallorosso e unico file rouge tra la vecchia e la nuova gestione, gli altri sono stati pagati con i dollari americani di mister James. Erano grandi campioni anche quando la Roma li aveva comprati e non solo quando li ha ceduti: per altro molti ancora li cercano in giro per il mondo, letteralmente scomparsi o tramontati una volta lontani dalla Capitale.

Insomma l'uomo dello scandalo è sempre lui, il tycoon bostoniano che avrà anche molti difetti, ma che resta sempre l'unico ad averci messo i soldi quando nove anni fa la società era tecnicamente fallita: Unicredit docet. Dice: ma quello sta qua solo per lo stadio. E meno male, perché probabilmente senza la possibilità, o comunque l'ipotesi (visto l'iter burocratico e la palese voglia di mettere i bastoni tra le ruote arrivati da tutte le parti) di realizzare l'impianto, difficilmente la Roma avrebbe trovato qualcuno disposto a metterci i soldi. Invece sono arrivati dollari, idee e una ristrutturazione che ha messo la Roma le migliori società del mondo: poi si può discutere se il percorso sportivo intrapreso sia stato il migliore o meno. Ma questa è una cosa che non si può certo accollare a Pallota che arrivando in un mondo e in uno sport a lui sconosciuto, non ha potuto far altro che affidarsi al meglio che ha trovato sul mercato. Qualcuno vuole discutere sulle qualità di Sabatini? O su quelle del suo successore Monchi definito da tutti tra i migliori tra i giovani ds? O sulle scelte degli allenatori forse...? Spalletti è lo stesso che sta adesso all'Inter dei miracoli e che aveva dominato in Russia con lo Zenit. Garcia aveva conquistato uno scudetto in Francia, Luis Enrique ha vinto tutto col Barca prima di approdare alla guida addirittura della Spagna. Zeman? Riabbracciato con toni trionfalistici dalla piazza. Insomma come presidente a Pallotta si può davvero di poco. O meglio si può dire che per quanto ha investito e per quanto cos'è ha fatto, ha raccolto davvero pochino dal punto di vista dei risultati: quello sì. Ma non certo perché non era presente. Questo comunque toglie poco e non può essere un alibi per nessuno per una stagione assurda che va molto al di sotto delle aspettative di tutti: tifosi in testa, ma anche tecnico, squadra e società. Perché questa Roma, cessioni a parte, continua ad avere un grande potenziale e non può essere certo una squadra da settimo posto. Come sempre i conti si faranno in fondo: certo fin qui quest'anno è una tragedia dalla quale nessuno si salva tra i protagonisti. Infine una cosa va detta di rigore: la Roma non era di Viola, non era di Sensi come non è ora di Pallotta. La Roma e di Roma. E dei suoi tifosi, gente che gode e soffre da una vita per questi colori ai quali ha dedicato molto più di un pomeriggio allo stadio. Gli ha dedicato la vita, a prescindere e solo loro possono dire: «La Roma è mia».
di T. Carmellini
Fonte: Il Tempo
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