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Di Francesco a rischio: si gioca tutto in una settimana

La posizione del tecnico abruzzese è appesa ad un filo. Frosinone, derby con la Lazio e Plzen in Champions sono le tappe per salvare la panchina. Squadra in ritiro da ieri sera
Lunedì 24 settembre 2018
Istruzioni per l'uso: non pretendiate che questo articolo riesca a spiegare fino in fondo ciò che in risulta tutto sommato incomprensibile e, se vogliamo, abbastanza paradossale. A certificare la crisi della Roma non bastano le cifre (5 punti in 5 partite, peggiore inizio in campionato dell'era Usa, cioè dal 2011), i dati tecnici (considerando anche la Champions, 7 gol segnati e 12 subiti in 6 match) e la rabbia che tracima dal mondo del tifo giallorosso, pronto già a mettere sotto accusa la presidenza e il mercato (soprattutto), così come Eusebio Di Francesco e la squadra. Il senso di fallimento che si respira sembra qualcosa di più profondo, quasi esistenziale, che prescinde persino da ciò che Claudio Ranieri ha ricordato a Radio Rai: "All'allenatore hanno venduto la spina dorsale della squadra". Tutto vero, naturalmente, così come è vero, però, che la rosa attuale - pur con i limiti e i possibili errori di scelta - non vale certo questa classifica modesta e queste prestazioni, ma assai di più.

RISCHIO ESONERO — La storia a questo punto è nota. Dopo che il presidente Pallotta ieri ha definita "disgustosa" la prova di Bologna (l'ultima volta che era successo, il 10 gennaio 2016, il tecnico Garcia fu esonerato tre giorni più tardi), la sorte di Di Francesco sembra appesa ad un filo. Tra due giorni c'è il Frosinone in casa e sabato c'è il derby, per non parlare dell'impegno di martedì contro il Plzen in Champions. Come dire, 3 partite in 7 giorni tutte all'Olimpico, luogo dove storicamente i giallorossi con questa guida tecnica soffrono di più. Destino segnato? Non è detto. Vero che già rimbalzano i nomi di eventuali sostituti (il sogno sarebbe Conte, ma più praticabili sono le piste che portano a Blanc, Montella e Paulo Sousa, ora in Cina ma con la possibilità di liberarsi), però fare 9 punti - cioè bottino pieno - è ancora alla portata di questa rosa, sia pure depauperata principalmente dal punto di vista del carattere dalle partenze di tre big come Alisson, Nainggolan e Strootman. Come ha detto venerdì scorso l'ex capitan Totti, parlando ovviamente per linee generali: "I giocatori sono bestie, sono bastardi", e perciò nell'ambiente giallorosso serpeggia l'idea che la squadra non sia più pronta a dare l'anima per un allenatore che pure quattro mesi fa li aveva portati in semifinale di Champions League. C'è chi dice che paghi l'aver avallato un mercato fragile in cambio del rinnovo di contratto (con adeguamento), benedetto solo a giugno scorso; c'è chi dice che sconti i continui cambi di formazione (21 i titolari finora utilizzati in 6 partite ufficiali) e di sistema di gioco; c'è chi dice che i calciatori stessi - soprattutto gli stranieri - si sentano solo di passaggio perché il club ha come primo obiettivo la salute del bilancio e quindi le plusvalenze.

RITIRO — Un cosa è certa: come si usava nel calcio assai meno tecnologico di una volta, il risultato è che la Roma è chiusa nel ritiro di Trigoria, attesa mercoledì da una sonora contestazione che non salverà nessuno, ed i capi d'accusa saranno sempre i soliti: la presidenza che aveva promesso trofei mai arrivati, la dirigenza sportiva che ha venduto i migliori senza sostituirli adeguatamente e la squadra che è ricca di potenzialità ma povera di carattere. Vedremo se, come nei casi di cronaca nera di un tempo, la fine è nota. Ovvero, Di Francesco esonerato e magari il d.s. Monchi in estate accomiatato, visto che ha una clausola di rescissione che gli consente di andare ovunque (e da tempo il tam tam di un addio si è fatto più forte). Di sicuro però c'è una cosa: se l'attuale allenatore avesse presto un erede sulla panchina, sarebbe il 7° in 7 anni gestione a stelle e strisce. Tutto sommato, apparentemente, una cosa che cozza in modo lampante con l'idea di pianificazione manageriale che la Roma bostoniana ha portato in Italia dal 2011, con risultati aziendali in effetti ottimi e visibili agli occhi di tutti. Il campo però è un'altra cosa, così come il cuore dei tifosi, che palpita lungo strade differenti. E se è innegabile che la Roma in 7 anni si è progressivamente assestata nell'élite italiana europea, nel giardino di casa - pur con una Juve cannibale in fatto di scudetti - sono riusciti a portare a casa Coppe Italia e Supercoppe anche Napoli, Lazio e Milan. Argenteria minore in confronto alle ambizioni di tutti, ne conveniamo, ma anche le piccole gioie, a volte, aiutano a rendere più confortevole l'universo del calcio.
di Massimo Cecchini
Fonte: Gazzetta dello Sport
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