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La vera Roma è ancora in infermeria

Le assenze di Dybala, Pellegrini, Renato Sanches, Smalling, Kumbulla e Abraham pesano e non poco
Lunedì 23 ottobre 2023
Sembrerà brutto dirlo, ma questa della Roma sul Monza è una di quelle vittorie che risvegliano il tifoso dormiente. Gli fanno sbarrare gli occhi, precipitare la mandibola, lanciare un urlo che spaventa i passeri sul balcone e pensare a un modo per festeggiare. Stephan El Shaarawy ci mette le sue lacrime di rabbia e sollievo, Bruno Conti la sua dote di nostalgia carogna per una squadra (o più di una: non dimentichiamo il Mondiale del 1982) che, oltre a raggranellare tre punti di tanto in tanto, era anche in grado di sbrigliare la fantasia, far provare piacere agli occhi e immaginare sorti progressive, se non magnifiche. Tanto che persino questa versione inedita della società lievemente dimentica di sé ha ritenuto opportuno celebrare il sette più sette della storia. Discretamente, in un angolo un po' defilato in modo che pochi vedessero e ancor meno sentissero. Ma lasciamo stare. Magari, pensa oggi il tifoso colpito al cuore di cui sopra, fossero queste le crepe di cui preoccuparsi. Conti resta Conti, la storia resta la storia e la leggenda non ne parliamo. La realtà anche, peraltro. La realtà di una Roma paralizzata dall'organizzazione altrui, allergica alla velocità di spostamento, irretita dall'occupazione degli spazi, incapace di cambiare passo anche quando resta in superiorità numerica e far viaggiare rapidamente il pallone e allargare la manovra sarebbero cose ovvie come i rimedi della nonna.

Roma, battere il Monza vale tanto
Non è che ci voglia Mourinho per insegnarlo. Naturalmente, contano i tre punti. La scalata di sesto grado e a mani nude della classifica del campionato. La quarta vittoria consecutiva. Aver masticato, a costo di crampi allo stomaco e dolore ai denti, un osso come il Monza che in questo momento chiunque avrebbe timore a rodere. Che non perdeva da cinque partite e non incassava un gol da più di quattrocento minuti. Conta aver ripreso dal punto in cui ci si era fermati per dovere istituzionale, con il nobile scopo di lasciare spazio alla divertentissima sosta internazionale. Solo che, smorzatasi l'eco dell'urlo e ripreso fiato, il tifoso avveduto - e ancor più chi di mestiere fa altro - non può non rendersi conto che il calendario finora indulgente si fa patrigno e di qui a metà gennaio metterà in fi la - oltre ai due confronti direttissimi con lo Slavia Praga - l'Inter, la Lazio, la Fiorentina, il Bologna, il Napoli, l'Atalanta, il Milan. Con poche e brevi pause. Ciò che il destino ha dato, il destino può togliere. E affrontare il destino con il passo pigro che la Roma ha mostrato ieri non sarebbe igienico. Queste però dovrebbero essere ancora le ore dell'urlo di gioia, quindi la Roma in realtà non si dispera. Come ovviamente non si dispera Palladino, uscito quasi indenne da un appuntamento che neppure lui poteva considerare semplice. Nel giudicare prestazioni e prospettive giallorosse, sfugge talvolta questa considerazione: che la Roma continua a giocare pressoché ogni partita con mezza formazione titolare assente.

Roma e l'infermeria piena
Oppure possiamo pensare che Dybala, Pellegrini, Renato Sanches, Smalling, più Kumbulla e Abraham costituiscano un dettaglio trascurabile. Azmoun entra ed esce, e che sia in grado di influire sul rendimento della squadra appare evidente. Aouar è un altro soggetto a perenne rischio. Cristante sta lì a reggere il mondo sulle spalle, in piedi finché ha fiato. Lukaku se le gioca tutte perché ha bisogno di recuperare la condizione migliore, ma anche perché senza di lui l'efficacia offensiva viene giù a sasso. Non si tratta soltanto di quanto gli assenti avrebbero potuto dare in campo. La questione principale sta nel fatto che a forza di fare i turni, di perdere giocatori in teoria fondamentali per settimane o mesi, diventa complicato imbastire negli allenamenti un'identità di squadra, una sensata strategia di gioco. Bisogna sempre infilare dita nella diga a rischio cedimento, inseguire gli eventi, riempire i buchi delle liste come quando si cerca di organizzare una partita di calcetto. Non tutti avranno notato che, una volta esaurite le cinque sostituzioni, a Mourinho sono rimasti in panchina cinque giocatori. Palladino ne aveva ancora dieci. Forse un giorno questa bufera di infortuni che insiste su Trigoria si esaurirà e allora potremmo vederne delle belle. Del bel giocare, persino.
di Marco Evangelisti
Fonte: Corriere dello Sport
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