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Roma, Pruzzo e Nela raccontano lo scudetto del 1983: "Noi pieni di leader"

Il bomber: "Liedholm nel futuro, anche oggi avremmo dato filo da torcere". Sebino: "Calmi, coscienti e tutti uniti in campo"
Lunedì 08 maggio 2023
Due dei grandi protagonisti dello scudetto dell'83 sono genovesi. Roberto Pruzzo e Sebino Nela sono rimasti legati ai colori giallorossi e i tifosi non li hanno dimenticati. Il "bomber" e "picchiasebino" erano due che si facevano sentire anche nello spogliatoio. Pruzzo era un brontolone ma era rispettato da tutti. Faceva ammattire Freddi, lo storico autista del pullman. Troppo caldo, troppo freddo, troppo traffico, hai scelto la strada con più semafori. Il nipote di Freddi era alle celebrazioni e a Roberto ha raccontato che il nonno impazziva per lui. Nella reunion romana un passaggio anche per il Tre Fontane, campo d'allenamento di allora. «Sono arrivato lì con un problema al polpaccio - svela Roberto - i fisioterapisti me lo hanno risolto. Li ringrazio ancora». Il bomber ripensa a quello scudetto con l'orgoglio di aver fatto parte di una grande squadra: «Eravamo abbastanza forti per vincere, anche se la concorrenza della Juve era molto temibile. Quell'anno feci 12 gol in 24 presenze, segnavamo tutti. Era una squadra che giocava un calcio bello, con intelligenza. Io ero funzionale al piano che il mister costruì tassello dopo tassello. Fu decisivo l'arrivo di Vierchowod, una grande intuizione e in pratica l'unico difensore che avevamo in squadra: gli attaccanti li marcava tutti lui. Probailmente qualcuno non se ne è accorto che il nostro era un calcio avveniristico in quel tempo. Giocavamo con tre punte, con il doppio centravanti. Liedholm ha preceduto tutti». Pruzzo parla di una squadra ricca di personalità: «La rivalità tra Agostino e Falcao è un falso storico. Se non lo sapevo io non era vero. Ma c'erano anche altri campioni. Quella squadra se la metti in campo oggi dà filo da torcere a tutti».

Turone il primo leader
Sebino Nela ha dato il suo contributo alla realizzazione dell'evento, anche lui si è emozionato: «Il presidente ha mostrato attenzione nei nostri confronti, ci ha ringraziato, gli abbiamo spiegato cosa era la Roma in quegli anni, il senso di appartenenza. Tornare all'Olimpico fa un certo effetto, la gente ci riconosce ancora. Quella Roma era la squadra più forte. Il gol di Turone era stato un incidente di percorso, era inevitabile che si dovesse vincere. Forse potevamo vincere di più. A me manca una coppa, un altro scudetto. Il presidente Viola costruì una squadra vincente con un gruppo di bravi ragazzi, di grandi professionisti. Io Vierchowod lo avrei messo in campo contro l'Inter, senza mancare di rispetto a chi giocava. Era importante il gruppo, ma ancora di più la squadra, come dice Velasco. In undici stagioni con la Roma mi è capitato di non parlarmi con qualche compagno ma quando si giocava insieme eravamo tutti uniti». Una squadra di uomini veri: «C'erano più leader, chi parlava di più, chi meno. Quando sono arrivato il leader era Ramon Turone, ma nell'anno dello scudetto dopo due mesi andò via, come Scarnecchia. Non abbiamo mai avuto paura di non vincerlo quello scudetto, ma a Pisa c'è stato lo snodo di tutto. Abbiamo cominciato il campionato avendo la consapevolezza di essere forti. Dopo la sconfitta con la Juve siamo rimasti tranquilli, ci rendevamo conto della nostra forza. Ripensandoci abbiamo avuto una calma straordinaria. La rivalità con la Juve la sentivamo eccome. Era il nostro derby, per vicissitudini laziali. La sfida con i bianconeri ha caratterizzato il calcio italiano a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta». Nela e Pruzzo vinsero lo scudetto nella "loro" Genova. Sebino non dimentica: «Festeggiammo anche la salvezza dei rossoblù. Colgo l'occasione per dare il bentornato al Genoa in A. Del ritorno da quella partita non ricordo niente. Gli aeroporti erano invasi di tifosi e facemmo prima scalo a Fiumicino per finire poi a Ciampino».
di Guido D' Ubaldo
Fonte: Corriere dello Sport
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