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Fonseca: "Mou e Guardiola i miei modelli. Ma che bravi i tecnici italiani"

L'alleatore della Roma: "Dal punto di vista tecnico-tattico nessun torneo come la Serie A. Smalling ideale per l'Italia, Ibanez è un talento"
Lunedì 07 dicembre 2020
La passione per Mourinho e Guardiola e la capacità di sapersi adattare, strada facendo, a ogni difficoltà. E poi la scuola degli allenatori portoghesi, Smalling che diventa Smaldini e la bontà del risotto di Trigoria. "Eccezionale", dice Paulo Fonseca, facendo i complimenti a Luka Jurowich, lo chef della Roma. "Per noi è un problema, cucina così bene...". Ecco, Paulo Fonseca si racconta a cuore aperto a The Athletic, rivista specializzata in Gran Bretagna. A cui racconta anche perché ha scelto di vivere proprio nel cuore di Roma. "Ma non lo dico solo perché sono l'allenatore del club. Ero già stato qui prima di allenare la Roma e mi sono subito innamorato della città".

LA SCUOLA PORTOGHESE — Poi Fonseca racconta come è cambiato il mondo degli allenatori in Portogallo. Ad iniziare da Vitor Frade, un vecchio professore universitario che ha teorizzato la periodizzazione tattica. "Quando giocavo io tutto quello che sapevo è che doveva correre - dice il tecnico della Roma -. Vitor invece per noi allenatori portoghesi ha cambiato un po' tutto". Esattamente come Mourinho, subito dopo. "Quando è apparso lui, anche questa nuova mentalità nel calcio portoghese è emersa altrove. Mou è stato così importante perché quando ha lasciato il Portogallo ha avuto subito un grande successo. E la gente ha iniziato a guardare a noi tecnici portoghesi in un modo diverso da prima". E così sono venuti fuori i vari Villas Boas, Marco Silva, Pedro Martins, Jardim, Jorge Jesus e appunto Fonseca. Che ha lavorato con lo stesso Jesus all'Estrella Amadora, quando era vicino ai trenta anni. E che per lui fu una grande fonte di ispirazione. "Perché prima non avevamo imparato molto come giocatori. Il nostro era un calcio molto fisico, usavamo tanto le marcature uomo a uomo. Jorge è stato invece il primo mio allenatore che lavorava sulla tattica. Ci faceva vedere le cose in modo diverso ed è lì che ho iniziato a pensare al calcio in un altro modo. Da lì per me sono diventati fondamentali tre elementi: lo spazio, la palla e l'avversario. Da lui ho imparato molto sull'organizzazione difensiva".

LE ALTRE SCUOLE — Anche se poi la vera passione di Fonseca è per tutto altro. E cioè per Pep Guardiola. "La squadra che mi è sempre piaciuta guardare di più è stata il Barcellona di Pep Guardiola". E anche oggi appena può guarda il City, quando non ha gli occhi su Netflix. "Ho appena finito Making a Murderer. E mi è piaciuto molto il documentario su Bobby Robson. Di Pep invece mi piace come è cambiato il suo gioco nei vari paesi in cui è stato". Proprio come ha dovuto cambiare lui appena arrivato in Italia. "Qui ogni partita è una storia a sé - continua l'allenatore giallorosso -. Da un punto di vista tecnico-tattico non esiste un campionato come la Serie A. Qui ci sono squadre che iniziano con un sistema e finiscono con un altro. Cambiano più volte nella stessa partita e cambiano anche durante la stagione. Squadre che affrontano un avversarie in un modo e quello dopo in un altro. E non cambia solo il sistema, ma anche le strategie di gioco". Ecco perché Fonseca apprezza anche molto gli allenatori italiani. "Tatticamente sono bravi e molto ben preparati - dice -. Ecco perché il calcio qui è complicato. Ed ecco perché quando gli allenatori italiani vanno a lavorare all'estero per loro è facile avere successo". Cosa che, però, spera di avere presto anche lui, qui in Italia. "Da quando sono qui ho dovuto adattare le mie idee, in passato ero ossessionato dal possesso palla. Amo le squadre che quando hanno la palla dimostrano coraggio. Ma qui ho dovuto cambiare: tenere palla come piace a me in Italia è impossibile. Ho capito l'importanza delle transizioni, mi sono reso conto di quanto sia importante attaccare velocemente perché tutte le squadre qui sono difensivamente ben preparate. In Italia è difficile trovare spazio, se non si attacca in fretta gli avversari si riorganizzano subito".

I GIALLOROSSI — E poi c'è la Roma, ovviamente. Che è partita bene e che gli sta dando anche delle soddisfazioni. "Il carattere dei giocatori è un aspetto molto importante per me. Pedro, ad esempio, è uno che al Chelsea non giocava sempre, ma quando lo faceva lavorava duramente anche nella fase difensiva. E qui sta confermando tutto quello che pensavo su di lui. Mkhitaryan è molto simile a Pedro. Sono ragazzi molto intelligenti, con una grande intelligenza tattica. Ma quello che mi piace di loro è soprattutto le grandi motivazioni che hanno. Micki lavora ogni giorno come se avesse 18 anni. Non è facile trovare giocatori così. Gente che diventa un riferimento per gli altri compagni. Esattamente come lo è uno come Dzeko". E come Smalling, che Fonseca aspetta di riabbracciare in settimana. E che per The Athletic, appunto, diventa Smaldini, con riferimento a un momento del ruolo come Paolo Maldini. "Chris ha le caratteristiche ideali per il calcio italiano, non è facile trovare difensori centrali veloci e aggressivi come lui. Ibanez? Un talento".

LA PANDEMIA — Infine la pandemia e il coronavirus, che ha stravolto la vita di ognuno di noi. "Sono abituato ad adattarmi alle situazioni - dice Fonseca - Sono stato allenatore dello Shakhtar per tre anni e non sono mai stato a Donetsk. Ho vissuto sempre a Kiev, giocando a Kharkiv e poi a Lviv. In un anno abbiamo fatto qualcosa come 125 voli. È stata un'esperienza incredibile. Ma noi portoghesi ci adattiamo facilmente alle diverse situazioni. Quello però a cui la gente non pensa è che i giocatori non hanno più tempo libero. In estate, per esempio, molti di loro hanno avuto solo dieci giorni di vacanza. E non è sufficiente per ricaricare le pile". Già. Intanto, però, la sua Roma le sta ricaricando per tornare alla vittoria. A Bologna, domenica prossima. Perché la sfida di Europa League di giovedì, a Sofia, per la classifica non conta più.
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