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25 aprile 1945 - 25 aprile 2024. Libertà e democrazia.
1.

Un estratto dal bellissimo spettacolo teatrale di e con Aldo Caz zullo, basato sul suo libro: “Mussolini il capobanda” e la struggente interpretazione di Moni Ovadia co protagonista.
Buon 25 aprile a tutti!

Ci sono due leggende da sfatare. La prima: le leggi razziali furono blande al confronto di quelle tedesche; ma non è così, anche perché non escono tutte insieme, vengono inasprite, a volte con inutili crudeltà. La seconda: le leggi razziali non furono applicate con severità. Purtroppo non è vero neppure questo.
Il 5 settembre 1938 entra in vigore una disposizione su proposta del Gran Consiglio del fascismo: è vietato agli ebrei insegnare nelle scuole pubbliche, iscriversi all’università, far parte di istituti, accademie, associazioni delle scienze e delle arti.
Dal 17 novembre è proibito il matrimonio tra ariani ed ebrei; gli ebrei stranieri saranno espulsi, gli ebrei italiani non potranno più iscriversi al partito - premessa necessaria per molti lavori e per fare impresa -, prestare il servizio militare, dirigere aziende con più di cento dipendenti, possedere più di cinquanta ettari di terra.
Tutti gli ebrei, anche i bambini, devono lasciare la scuola. Duecento studenti universitari, mille liceali, quasi 4500 scolari sono costretti ad abbandonare le loro classi, senza avere fatto niente di male, senza che apparentemente sia cambiato nulla nella vita loro e dei compagni.
Di fatto viene introdotta l’apartheid. Un regime segregazionista.
Umberto Saba scrive: “Sono un poeta italiano che, per essere nato da madre ebrea, sarò, così all’improvviso, tagliato fuori dalla vita del mio paese che ho tanto amato”.
La stampa li addita come estranei alla nazione; il che non è solo odioso, è contraddetto dalla storia; molti ebrei sono stati tra i protagonisti del Risorgimento, molti sono caduti nelle trincee della Grande Guerra. Qualcuno cerca la salvezza, ottiene di essere “discriminato” per meriti fascisti, per benemerenze militari, per aver sposato un uomo o una donna cattolica. Altri preferiscono l’esilio, o la morte. Si tolgono la vita alcuni militari costretti a lasciare l’esercito. Gli ebrei suicidi a causa delle leggi razziali - prima dell’invasione nazista - sono almeno trenta ma nessuno ne sa niente, perché pubblicare notizie sugli ebrei è vietato. (segue)
 
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3.

Per fortuna il presidente del Grande Torino, Ferruccio Novo, è uomo di un’altra tempra. Anche lui ha un allenatore ebreo, Ernest Erbstein; ma non si lascia intimidire dal regime, e rifiuta di mandarlo via. Quando il clima si fa più pesante, organizza uno scambio di allenatori con il Feyenoord di Rotterdam; ma è sempre Erbstein a fare la campagna acquisti del Toro. Finita la guerra, Novo lo attende al Filadelfia per nominarlo direttore tecnico. Insieme vinceranno quattro scudetti, e Ernest Erbstein troverà la morte sulla collina di Superga.”

[Aldo *****ullo - Mussolini il capobanda (Mondadori, 2022)]
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2.

Ma, come scrive Renzo De Felice, “gli italiani degni di questo nome, ebrei o ariani che fossero, compresero ... il significato di quel gesto disperato e al tempo stesso eroico: la discriminazione - checché dicessero Mussolini e i suoi corifei - era persecuzione, la più barbara e la ingiusta che da secoli la terra italiana avesse conosciuta.
Gli ebrei comunque ricevono lettere di solidarietà: “Un cordiale saluto con l’antica amicizia.” Persino il Popolo d’Italia riceve lettere di protesta. Il Duce, informato, si irrita, e ordina a Pini titolare: “Noi tireremo diritto sulla questione della razza”.
A Trieste il federale Emilio Grazioli protegge le antiche famiglie ebraiche della città, i Salem, i Morpurgo, e viene rimproverato per questo da Roma. Il federale di Milano, Rino Parenti, è invece amareggiato perché la campagna razzista incontra difficoltà, “per via dei soliti ariani sentimentali”.
Una giovane studentessa, Franca Norsa, che diventerà celebre con il nome di Franca Valeri, lascia il liceo Parini e dà l’esame di maturità al Manzoni; nessuno se ne accorge. “L’Italia” commenterà molti anni dopo, al termine della sua lunghissima vita “ha sempre avuto le sue inefficienze”. Una ricercatrice, espulsa dall’università, si chiude nella sua stanza a Torino e si dedica notte e giorno agli studi sul sistema nervoso che le varranno il Nobel per la medicina: il suo nome è Rita Levi-Montalcini.
Neppure lo sport è risparmiato. L’allenatore del Bologna è un ebreo ungherese, Arpad Weisz, in Italia da molti anni. Alla testa dei rossoblu ha vinto due scudetti, dopo quello conquistato con l’Inter. Il regime l’ha già costretto a cambiare la grafia del suo cognome in Veisz; la moglie Ilona, anche lei ebrea ungherese, è diventata Elena. Hanno due figli, nati a Milano, Roberto e Clara. Il presidente Renato Dall’Ara, l’uomo cui è dedicato lo stadio della rossa Bologna, obbedisce alle leggi fasciste e lo licenzia in tronco. Weisz è costretto a lasciare l’Italia. Trova lavoro in Olanda. Ma con la guerra i nazisti arrivano anche lì. Prendono lui, sua moglie, i suoi figli, e li portano ad Auschwitz. Elena e Roberto finiscono subito nelle camere a gas. Arpad sopravvive per quindici mesi in un campo di lavoro: una lunga discesa agli inferi, interrotta dal ritorno ad Auschwitz. La morte arriva come una liberazione. (segue)
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