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Parla sette lingue, canta Al Bano, ha servito 32 assist in un anno: ecco Mkhitaryan

Il trequartista ha scelto la Roma per ritrovare l'entusiasmo dopo l'avventura l'Inghilterra: da piccolo ha fatto un "patto" col padre ex attaccante e se non fosse stato un calciatore sarebbe stato un avvocato. I social? Instagram l'ha fatto tre anni fa...
Lunedì 02 settembre 2019
"Quando sei triste, non puoi essere fortunato. È qualcosa che ho imparato dalla cultura brasiliana. Quando sei felice, sul campo succedono cose belle". Forse è tutta qui la scelta di Henrikh Mkhitaryan. L'atmosfera di Londra e i pochi minuti all'Arsenal hanno fatto il resto: Petrachi ha condotto in gran segreto la trattativa e ora l'armeno sarà il vero rinforzo della Roma per la trequarti. I tifosi fanno fatica a crederci, convinti però che possa essere l'acquisto in grado di permettere il salto di qualità alla manovra offensiva della Roma.

MILLE CULTURE - Dal Brasile ha portato via la voglia di divertirsi in campo: quando era piccolo dall'Armenia è partito con altri giovani calciatori per un camp col San Paolo di quattro mesi: li ha trascorsi in camera con l'ex Lazio e Juve Hernanes e chissà che non lo abbia sentito prima di dare l'ok al trasferimento. La passione per il calcio è tutta frutto del papà-idolo Hamlet, uno dei più grandi attaccanti dello scorso secolo. A 33 anni muore per un tumore al cervello e quello stesso giorno un piccolissimo Henrikh decide che avrebbe fatto il calciatore e avrebbe reso orgoglioso il papà. E come far felice un attaccante se non facendo più assist possibili? Quello sarebbe diventato l'obiettivo di una carriera intera.
L'infanzia in Francia, l'Armenia, il Brasile, ma non solo: quando si trasferisce a Donetsk impara anche l'ucraino e un po' di russo, che aggiunge al personalissimo bagaglio. Lo raccontano come uno che ama stare lontano dai riflettori (di Ibrahimovic ai tempi dello United disse: "Gli piace ritenersi il Dio dell'Old Trafford, ma non lo è") e dall'idolo Kakà ha preso anche la riservatezza oltre che alla capacità di far sembrare facile ciò che non lo è sul campo.

RECORD - A Donetsk esplode e nel 2013 allo Shakhtar segna 25 gol ai quali aggiunge nove assist: il Borussia Dortmund lo nota e lo porta in Germania, dove entra in contatto con un'altra realtà e... impara un'altra lingua. Con Klopp per due anni le cose vanno a corrente alternata (benino il primo anno, malissimo il secondo in cui rischiano la retrocessione) ma è con Tuchel che rinasce e stabilisce un record: nel 2015-2016 segna sì 23 gol, ma soprattutto offre trentadue assist. Un'enormità. Ma anche un segnale di quanto sia un giocatore perfetto in un contesto che funziona, non un leader in grado di prendere in mano la squadra nei momenti di difficoltà, come successo anche allo United soprattutto nel primo anno di Mourinho. All'Arsenal non è andata molto meglio e la scelta di Roma va letta proprio in questo senso: è un giocatore umorale che ha bisogno di sentirsi protagonista per rendere al meglio.

AL BANO - Dalla mamma ha ereditato la resilienza: "Ma mi danno i calci in campo", le raccontava quando da ragazzo iniziava ad avere qualcosa in più degli altri. "No, devi essere sempre educato" era la risposta, come ha raccontato in una bellissima lettera su "The Players' Tribune". Sui social è arrivato molto in ritardo: il primo post su Instagram è datato luglio 2016. Un po' in controtendenza rispetto ai calciatori dei nostri anni. È ambasciatore dell'Unicef e in estate si è sposato a Venezia con la compagna Betty (figlia dell'uomo d'affari Mikayel Vardanyan) nell'incantevole cornice di San Lazzaro degli Armeni. Non una scelta casuale, visto che si tratta della casa madre dell'ordine dei Mekhitaristi e uno dei primi centri al mondo di cultura armena. Alla cerimonia c'era un'ospite d'onore, Al Bano: insieme hanno cantato "Volare" di Domenico Modugno. Volare, che ora a Roma per Mkhitaryan è diventato un augurio.
di Marco Prestisimone
Fonte: Gazzetta dello Sport
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