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De Rossi, scelta giusta: ama la Roma più di tutti. Ma sia trattato da allenatore

Mourinho paga classifiche, gioco e critiche al club. Nessuno è tifoso quanto Daniele, però adesso merita di essere considerato soltanto per il suo ruolo
Mercoledì 17 gennaio 2024
Per gli amanti della numerologia non poteva che essere il 16, come la sua maglia, il giorno del ritorno di Daniele De Rossi "a casa", come ha ricordato la nota del club. Ma in realtà De Rossi quella casa non l'ha mai lasciata, perché è finita una carriera da giocatore ma non si è mai attenuato l'amore che Daniele nutre per la Roma, la sua seconda pelle come ha spiegato in tante interviste.

NON SOLO AMORE — Il rischio di farsi prendere la mano dai sentimenti non riguarda solo lui, ma chiunque scriva di questo nuovo capitolo tra l'ex campione, il club, la maglia, i tifosi. Si può intingere la penna nell'amore prima ancora che nella facile retorica e ricordare frasi, scelte, tackle, gol esultanze con la famosa vena di De Rossi, il capitan futuro, l'uomo bandiera (non è un modo di dire, in curva sventola gigante quella col suo volto). E allora facciamo finta di aver già scritto tutto e sintetizziamo con la frase di De Rossi nel comunicato in cui ringrazia i Friedkin: "tutti sanno cosa sia la Roma per me".

SCELTA GIUSTA — Ma prima di spiegare perché la scelta di affidargli la Roma sia la più sensata possibile (se azzeccata lo dirà il tempo) facciamo un passo indietro. L'esonero di Mourinho desta clamore, per la fama e la mediaticità del portoghese, ma non sorpresa. In diversi momenti nelle ultime due stagioni a salvare lo Special One era stato più il rapporto con la tifoseria che i risultati. In primis Mourinho paga essenzialmente quelli. In campionato il suo ciclo è stato molto deludente. Due sesti posti e ora un deprimente nono. Mai alla fine dei cinque gironi disputati tra le prime quattro. Un bilancio disastroso contro le squadre di alta classifica. Quattro sconfitte in sei derby, l'ultimo sanguinoso in Coppa Italia. Peggior percentuale di vittorie rispetto ai tecnici della Roma degli ultimi 10 anni, peggior percentuale di sconfitte rispetto a quasi tutti quelli degli ultimi 40 anni. Un gioco antico, difensivo, da battaglia, mai migliorato. Numeri in antitesi con la rosa che vanta il terzo monte ingaggi della A e con il suo ricchissimo stipendio, il secondo dopo Allegri.

I PECCATI DI MOURINHO — Ma Mou paga anche le continue polemiche esterne e, soprattutto, interne. Mai un'autocritica dopo le sconfitte ma un campionario di scuse, attacchi, giustificazioni. Raramente si è sentito un tecnico criticare così spesso l'operato del club, la struttura societaria, il peso politico, le campagne acquisti, il livello dei giocatori. Ogni estate il mercato della Roma è stato giudicato tra i migliori dagli addetti ai lavori, con grandi nomi (Abraham il primo anno, Dybala il secondo, Lukaku il terzo), ma inevitabilmente, dopo un paio di mesi di poco gioco, pochi risultati e bordate del tecnico, diventava "da buttare". La rosa di questa Roma nonostante il FFP deve lottare per il quarto posto. Fiorentina Atalanta, Bologna e Lazio sono tutte meno attrezzate, ma sono tutte davanti. E se alcuni ruoli (vedi gli esterni) sono infarciti di giocatori con attitudini difensive è per scelta dell'allenatore. Dunque è stato tutto da buttare? No, certo. Mou ha regalato da subito enorme entusiasmo, mediaticità, sold out per due anni e mezzo, unione totale con gran parte della tifoseria: ma questa simbiosi è stata soprattutto a favore di se stesso e spesso a sfavore della società. Ha regalato anche una Conference e ha sfiorato l'Europa League: questo va certamente a suo merito nonostante il gioco, anche in Europa, abbia latitato spesso. In questo terzo anno, ricco più di delusioni che di gioie, la pressione messa per il suo rinnovo è stata un autogol. Anche buona parte della tifoseria alla fine si era stancata di prestazioni e parole. E il feeling si era affievolito (a volte rotto) anche con diversi giocatori. Lascia un uomo che aveva saputo conquistare i tifosi con empatia, intelligenza, furbizia. Si era sicuramente affezionato a Roma e ai colori. Ma chi arriva dopo di lui quei colori li ha stampati sulla pelle, nessuno ama la Roma come De Rossi. Scegliendo lui la società evita uno strappo con la tifoseria, si affida ad un tecnico pieno di voglia, che conosce ogni cosa della Roma, ne valuta le capacità per il futuro.

LA MISSIONE — De Rossi ha sei mesi per salire in classifica. Per ridare alla squadra un gioco più offensivo e convincente. Per rivalutare giocatori finiti nel dimenticatoio. Per inseguire obiettivi lontani ma non impossibili. Per creare un corpo unico senza più vedere o crearsi nemici ovunque. Valuterà questa rosa allenandola, se ci saranno cessioni potrà forse migliorarla chiedendo qualcosa, si concentrerà solo sul campo. Non ha bisogno di strizzare l'occhio ai tifosi perché non c'è un tifoso più tifoso di lui. Probabilmente cambierà modulo e interpreti. Ma qualunque cosa farà, non sarà per se stesso ma solo e soltanto per il bene della Roma: società, squadra e tifosi. Sapeva che avrebbe un giorno allenato la Roma, quel giorno è arrivato presto. La vita non si programma e una occasione così è una responsabilità ma anche un onore. A Roma in 30 anni DDR ha conosciuto tutti. Alcuni hanno visto crescere lui, altri li ha visti crescere lui. Se gli si vuol bene, ognuno faccia un piccolo passo indietro: nessun eccesso di familiarità, niente "Danielino", "Capitan futuro", pacche sulle spalle. Ha sei mesi per dimostrare di essere un allenatore da Roma e meritarsi una conferma. Tutti sanno cosa sia la Roma per lui e cosa sia lui per ogni romanista. Facciamogli fare solo l'allenatore. Lo farà bene.
di Andrea Di Caro
Fonte: Gazzetta dello Sport
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