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Petrachi 'snobba' Pinto: "Per me non è un ds. Zaniolo? La Juve è innamorata..."

Le parole dell'ex direttore sportivo della Roma: "Pinto non ha il patentino, il mercato al Benfica lo faceva Rui Costa. A Trigoria troppe mezze figure. Se la Fiorentina mi vuole, io ci sono"
Venerdì 04 dicembre 2020
ROMA - Ha provato a tornare a Trigoria, ma i Friedkin hanno risposto "no grazie". Così prosegue la causa presentata da Gianluca Petrachi al club per il suo licenziamento dello scorso luglio. Il direttore sportivo salentino è intervenuto a Sportitalia perlando del suo passato in giallorosso, dell'arrivo del general manager Tiago Pinto e del suo futuro.

Il suo rapporto con la Roma si è interrotto in quella famosa disfatta col Sassuolo?
"Io non credo sia successo tutto a Sassuolo, anzi. Se capitasse domani lo rifarei perché il direttore sportivo rappresenta la società. Se c'è qualcosa che non va bene, anche nell'intervallo, ha tutto il diritto di dire qualcosa alla squadra. Ero entrato per un aspetto motivazionale, per tirare fuori quel qualcosa in più. Dopo venti minuti la Roma perdeva 3-0, è evidente che ci fosse qualcosa che non stesse funzionando. Ho cercato, nel mio piccolo, di far capire ai giocatori che stavamo perdendo quel poco di dignità che stava rimanendo. Nel secondo tempo abbiamo rischiato di pareggiare la partita quindi evidentemente a volte il discorsetto negli spogliatoi può servire. Io non entro per parlare di tattica o di tecnica, entro per un discorso motivazionale e se un direttore non lo fa è giusto che stia a casa".

Fonseca si era arrabbiato perché quello era un ruolo che gli spettava in quanto allenatore.
"Non condivido questo aspetto, le dinamiche dello spogliatoio sono molto personali. Succede una volta all'anno, non è che tutte le volte io entro nello spogliatoio. Ci sono momenti cardine in cui un direttore, in rappresentanza della società, deve fare quello che deve fare. In quel momento ho ritenuto opportuno fare quello e lo rifarei mille volte. Non è vero che ho litigato con Fonseca, quando ho finito di parlare ho lasciato spazio all'allenatore. Ci sono degli accordi anche tra allenatore e direttore ma resta il fatto che non ho fatto niente di particolare. Ho cercato di dare voce alla società che in quel momento non era contenta dell'atteggiamento. Lo rifarei altre mille volte e questa è l'ultima cosa a cui penso di quello che mi è capitato a Roma".

È pentito di qualcosa? Rimanderebbe quei messaggi a Pallotta?
"Io sono un po' deluso del fatto di non avere avuto un contatto diretto con Pallotta e questo non è dipeso solo dalla mia lingua, perché riesco a capire e farmi capire in inglese. Ero subordinato e non avere un contatto diretto è tutto più difficile. Oggi chiamerei il presidente anche a costo di dirgli che ho necessità di parlargli urgentemente, ma ciò che pensavo gliel'ho detto telefonicamente. Il messaggio non cambia. Io poi ho chiarito con Pallotta. Successivamente il presidente ha capito che qualcosa di Petrachi non gliela avevano raccontata giusta. C'è stato uno scambio di messaggi molto cordiale col presidente. Ora vado avanti per la mia strada perché non c'è stata conciliazione e i miei avvocati si faranno valere in aula giudiziaria. Se ci fosse stato ancora Pallotta avremmo avuto modo di confrontarci fisicamente. Il mio messaggio era per dire "Presidente, se lei mi discrimina dal punto di vista mediatico e non mi dà la forza di proteggere la società, mi sta ammazzando, mi deve proteggere". Questo non è accaduto e potevo fare la fine di altre persone a Roma. Se hai una società alle spalle che ti sostiene puoi andare lontano".

Non aveva un rapporto diretto con Pallotta. Lei passava da Baldini che riferiva al presidente?
"No assolutamente. Il mio referente era l'amministratore delegato Guido Fienga, che è stato sempre il mio punto di riferimento. Io trasferivo tutto a lui e di conseguenza riferiva al presidente e viceversa. Fino a gennaio era andato tutto bene, da lì in poi ha cominciato a scricchiolare qualcosa. Purtroppo Pallotta non è mai venuto in Italia e questo ha inciso perché la presenza del presidente è determinante. Ho cercato di fare degli aggiustamenti, di togliere qualche personaggio dalla struttura e qualcosa ha iniziato a incrinarsi. Ieri Fonseca si è lamentato in conferenza stampa perché qualcuno ha raccontato delle bugie, ecco io sono sempre sceso in prima linea e quindi sono anche risultato antipatico perché dicevo cose scomode. Però in realtà esistono e continuano anche se Petrachi non c'è".

Esiste l'ambiente romano?
"C'è un ambiente e tantissime persone che gravitano intorno. La Roma non è una società snella con tante mezze figure che non si sa neppure perché ci sono".

Perché a Roma è così difficile?
"A volte diventa quasi un mistero. Parlano in tanti che non hanno neanche una qualifica tecnica per parlare di calcio. Io credo che Capello abbia vinto perché c'è stato un rapporto fortissimo con Sensi, il presidente si fidava completamente di Capello. Sono state tolte tutte le mezze figure davanti e hanno vinto il campionato".

Ha fatto di tutto per rientrare del contenzioso? Ritiene il passaggio Pallotta fallimentare per quello che poteva essere e non è stato?
"Ho chiesto di essere reintegrato davanti al giudice. Ho detto che sarei rientrato volentieri, perché di fatto non avevo problemi con la nuova proprietà. Siccome ero stato fermo cinque mesi mi è stato chiesto cosa avrei fatto con le mensilità in cui non ho lavorato e ho detto che ci avrei rinunciato pur di riprendere il mio posto. Avrei optato per un semplice confronto col presidente che non c'è mai stato. Non ho polemiche da fare con la famiglia Friedkin, è una loro scelta e non posso non condividerla. Pallotta? Credo si sia fidato delle persone sbagliate, ha sbagliato gli interpreti. Lui ha speso dei soldi e la Roma ha un deficit clamoroso quindi evidentemente qualcosa non ha funzionato. Ad un certo punto avrebbe dovuto mettere più forza e più mano per essere più competitivo. Invece ha delegato e a distanza molte cose le perdi per strada. Credo che lui ci abbia messo tutti i presupposti per fare bene a Roma".

Quanto sente sua questa Roma?
"Non posso non emozionarmi quando guardo la Roma. A volte capita che giochino 8-9 undicesimi che ho portato io, insieme a Fonseca. Quindi è evidente che ci sia sofferenza, ma dal momento in cui non c'è stata riconciliazione e si è detto che Petrachi non può più rientrare, io devo guardare avanti. Non voglio più parlare della Roma e non è corretto che lo faccia, diventa anche stancante. E' stato qualcosa di importante e rimarrà sempre dentro di me".

Voto a Fonseca?
"Voto 7,5 che potrebbe arrivare a 9 se modificasse qualcosa. A volte deve essere più caratteriale, viene frainteso ma ha molta personalità. Ma sono convinto che sia qualcosa che acquisirà".

Miglior colpo alla Roma?
"Ibanez e Villar sono due giovani di grandissime prospettive. La Roma ci può puntare per i prossimi dieci anni".

Un rimpianto di mercato?
"Tutti i giocatori che avevamo puntato siamo riusciti a prenderli".

Su Zaniolo.
"La Juventus è sempre stata innamorata di Zaniolo, è un talento puro. Il ragazzo, con la mia gestione, si è sempre comportato bene ed è cresciuto, è maturato tantissimo. Ha una sensibilità spiccata, è un ragazzo molto più grande dell'età che ha e ha superato anche delle difficoltà personali importanti".

Sul caso Longo e la sconfitta a tavolino col Verona
"C'è un concorso di colpe. La lista la compila una persona con altre 3-4 a controllare. Longo, visto che era già in uscita, è stato superficiale però le colpe non sono solo le sue. Il team manager fa le liste".

Conosce Tiago Pinto?
"Domanda di riserva. Il direttore sportivo al Benfica era Rui Costa, io parlavo con lui. Se mi parlate di un direttore sportivo che non ha neanche il tesserino io non posso dire che lo conosco. Sarà anche il più bravo direttore sportivo del mondo ma nel Benfica era Rui Costa ad occuparsi dell'area tecnica. Poi magari la Roma gli farà fare più ruoli, dicono sia un ragazzo polivalente, ma come ds non lo riconosco".
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