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Falcao e quel rigore non tirato con il Liverpool: "Vi dico per l'ultima volta come andò davvero"

Il Divino si racconta in un'intervista esclusiva: «Ho il rimpianto del Liverpool ma non capisco la polemica sul rigore: vorrei rigiocare la finale stando bene. E quel fallo su Tancredi... Andreotti non voleva che andassi all'Inter? Mi dissero che era vero. E volevo portare Zico alla Roma»
Domenica 10 maggio 2020
Falcao è l'emozione della responsabilità. Forse non è stato il calciatore più forte della storia della Roma - Totti e qualcun altro potrebbero contestare un verdetto simile - ma ha avuto il peso necessario a cambiarla per sempre. Falcao è stato il primo straniero ecumenico della riapertura delle frontiere, esattamente 40 anni fa, anche se sotto ai ricci nascondeva il mistero di un alieno, in linea con la curiosità dell'epoca per i film di fantascienza: «Quando mi vennero a prendere all'aeroporto 5.000 persone, non cercavano me. Se fosse sbucato Pinco Pallino al mio posto sarebbe stato lo stesso. Cercavano la speranza di una rivoluzione tecnica. Del resto di me si sapeva poco come io sapevo poco dell'Italia». La cosa che sorprende, dopo tanto tempo, è la nitidezza dei ricordi. L'orgoglio dell'analisi, che va molto al di là dei numeri. E poi la voce che si rompe, nei momenti topici, tra un brivido e una risata. Siamo stati due ore al telefono, sulla linea Porto Alegre-Roma che Falcao percorse per la prima volta nel 1980. Sia consentita a questo punto la divagazione personale di un bambino un po' cresciuto, che a Fiumicino gli strinse la mano e in quel breve contatto capì il magnetismo della differenza: «Si chiama Roberto, come te» disse il mio papà nel presentarmelo. Paulo Roberto, in realtà. L'unico.

E' stato il Divino, poi l'ottavo re di Roma. In quale soprannome si riconosce di più?
«Farcau. Alla romana. Era più divertente. Il resto faceva piacere ma non era tanto importante: ho sempre pensato che la vanità non debba offuscare l'intelligenza».

Per questo una volta, negli anni ruggenti, gridò «se sei ricco e famoso, scopri di essere bello».
«Esatto. Valeva per un calciatore come per qualunque altro vip. Bisogna stare attenti a non perdere la dimensione della realtà. Per questo uno specchio a casa, di mattina, aiuta a capire chi ti si avvicina e come gestire la popolarità».

Lei non si è lasciato intrappolare dal ruolo: i paparazzi faticavano a scovarla.
«Capii subito che in Italia non è culturalmente accettabile che un calciatore frequenti una discoteca. Anzi i night, come si chiamavano all'epoca. Preferivo stare a casa, per senso del dovere verso i tifosi che mi volevano bene. E per essere un buon promotore dei brasiliani. Molti volevano venire in Serie A, all'epoca». [...]

Poi il salto nell'incantevole ignoto con la seconda, tremenda beffa: la Coppa campioni con il Liverpool.
«E' il mio rimpianto. Vorrei rigiocare quella finale stando bene. Comunque anche lì, macchia arbitrale: fallo enorme di Rush su Tancredi sul gol dello 0-1».

Ehm, il rigore? Venne accusato di alto tradimento da alcuni compagni e da tanti tifosi.
«Una volta per tutte: non capisco la polemica. Io non riuscivo a camminare per il dolore al ginocchio. L'effetto dell'antidolorifico era già abbondantemente finito durante i supplementari. Ma se anche fossi stato bene, Liedholm mi avrebbe fatto tirare il quinto rigore per scaramanzia dopo il tentativo azzeccato della finale di Coppa Italia contro il Torino. Ma al quinto rigore non arrivammo, purtroppo. Il Liverpool vinse prima».

Chi avrebbe tirato?
«Dodo Chierico, perché Pruzzo era uscito. Ma non è importante. Importante è stato giocare, la finale. Aver raggiunto la vetta. Pensare di poter vincere non significa vincere sempre. Per me conta di più aver lasciato un segno in termini di ambizione e affetto reciproco. Ci siamo divertiti emozionandoci ed emozionando. Non c'è niente di meglio per entrare nella storia».

Adesso, da allenatore, pensa di aver sbagliato a non calciare quel rigore?
«Zero. Rifarei tutto e sono in pace con me stesso. Ripeto, il quinto rigore non è stato tirato da nessuno. Poi ognuno ha il diritto di pensare ciò che vuole».

E' vero che chiamò Zico e Cerezo per portarli alla Roma?
«Vero. Ma non fu una mia iniziativa. Su Zico intervenne Viola, su Toninho la richiesta fu di Liedholm».

La storia di Giulio Andreotti che si muove in prima persona per non farla andare all'Inter è vera?
«Non lo so. In tanti pensano di sì. Ma la verità è che in quel momento non avevo alcuna voglia di lasciare la Roma. Roma è stata la mia scelta più giusta».

E pensare che poteva andare al Milan.
«Sì, nei primi mesi del 1980 mi telefonò Rivera. Sembrava un affare ben avviato, poi il Milan venne retrocesso in B. E spuntò la Roma».
di Roberto Maida
Fonte: Corriere dello Sport
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