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Roma, i cinque "buchi" di un club che non ritrova anima e risultati

Friedkin è più presente di Pallotta, Fonseca non perde la calma, Smalling potrebbe essere un leader eppure il progetto di rilanciare una squadra ancora "orfana" di Totti non parte mai. Con Dzeko e Pedro troppo anziani per portare i compagni nel futuro
Venerdì 30 ottobre 2020
Impotenza, confusione, intensità che manca, giocatori che parlano calcisticamente da soli e raramente con gli altri, crisi tattica, scarsa continuità, pochi piedi buoni, ansia da prestazione che mina il poco di buono che c'è, assenza di carattere. Parole e concetti che ricorrono. A febbraio per descrivere i problemi della Roma, uscita male dalla trasferta di Bergamo, usavamo le stesse parole. Sono passati mesi. Sono cambiati alcuni giocatori. È cambiato il modulo. Ma siamo rimasti al punto di partenza. Usiamo le parole di prima. A luglio si discuteva su quanto Fonseca potesse rischiare il posto. Pochi giorni fa il portoghese ribadiva di avere la fiducia della società. Ma chi sente il bisogno di dichiarare in pubblico una simile verità alimenta il sospetto che si tratti di una mezza bugia. La Roma è intrappolata nella sua stessa natura. Ha buchi ovunque. Cinque sembrano destinati ad allargarsi, se non muta lo scenario e se non si provvede a dotare il gruppo di nuove fondamenta, non soltanto di Spinazzola.

Primo buco: la società
È consolante, dopo anni di pallottiana latitanza americana, avere un presidente che c'è, che va in tribuna col figlio, che sembra aver cura del suo investimento, anche etico, sentimentale. In pochi mesi, onestamente, Friedkin sembra aver assorbito ciò che a Pallotta non è riuscito in anni: capire il mondo in cui stava entrando. Ma non basta. Una società come la Roma ha bisogno di certezze, di quadri dirigenziali, di prospettive, di investimenti a medio e lungo termine. Non ha ancora un ds, che è poco meno che ammettere che una squadra possa permettersi di non avere un allenatore o che il pane possa fare a meno della farina. La società che ha rilevato Friedkin forse non c'è più e con lei le ossessive ricostruzioni del futuro vincolate al nuovo stadio: ma non c'è nemmeno ciò che dovrebbe andare a sostituirla. O almeno non ancora. La sceneggiatura è ancora vaga. Si parla di rinforzi dietro le scrivanie, di Totti che potrebbe tornare, ma non si capisce in quale veste effettiva, di rimodulazione dell'organigramma, dopo gli addii e i siluramenti. Ma un gruppo che intende migliorare tecnicamente e agonisticamente deve anzitutto poter contare su una solida struttura manageriale, su spalle grandi capaci di sopportare colpi, attutirli, trasformarli in opportunità.

Secondo buco: il carattere
La Roma non ne ha uno definito. Quel che si vede in campo è il riflesso, bagnato, di una luce fioca che parte dalla dirigenza e che la panchina non riesce a migliorare. La squadra non mette quasi mai sul campo l'aspetto invisibile dello sport: quel magazzino di informazioni che non si possono sempre tradurre in un numero e in fisicità e che portano un gruppo a dare più di quanto potrebbe. In un contesto più stabile e in fiducia, spesso la somma dei valori di ogni singolo giocatore è inferiore al valore che il gruppo esprime misurando gli effetti che il collettivo riesce a mettere sul tavolo, cioè in campo. Ma la convinzione non si compra: si costruisce. I giocatori si possono modellare, migliorare. E con questo può salire la personalità, che è un bene che si ricava dalla combinazione delle singole motivazioni. La Roma ha solo aspettative, di solito troppo alte, e pochissime motivazioni. Ha più ansia che umiltà. Segno che la forza dell'invisibile è rimasta a un livello, diciamo così, adolescenziale. E che la gamba debole (i giocatori di minor spessore, che sono la maggioranza) trascina quella più forte.

Terzo buco: l'allenatore
C'è molto di Fonseca in questa Roma. Ma non è una buona notizia. Fonseca è un signore, raramente lo vedi perdere le staffe. E forse neppure questa è una buona notizia. Magari è così anche quando nessuno guarda, nel "cubo" protetto degli allenamenti, è così a Trigoria. Manca di slancio. A volte si potrebbe dire: i giocatori non fanno quel che lui chiede loro. Ma siamo sicuri? L'intensità che è mancata col Cska e che il tecnico ha invocato a giochi fatti, come il punto chiave della cattiva prestazione dei suoi, non può certo essere una novità. Sono mesi che la Roma manca di intensità, mesi che il suo calcio è privo di carica emotiva, mesi che pecca di qualità e, nel caso la trovi per strada, di continuità. I ragazzi sono attori che o dimenticano le battute o si sono persi qualche foglio del copione. Sono sempre mesi che la Roma si affida all'estro (per non voler dire alle improvvisazioni) dei suoi piedi buoni, che pure ci sono. Ma l'estro, il gesto dei singoli (quando si sommano due gesti si può anche segnare un gol), l'entusiasmo di un momento debbono necessariamente seguire qualcosa che prima è stato mandato a memoria, altrimenti non è calcio: è circo, è una raccolta di attimi. Se prima non c'è un piano condiviso e capito, anche Messi parlerebbe a vanvera. La Roma ha ottimi trequartisti e un centravanti che fa anche il trequartista. Punta su quelli. Non può fare altro. Ma se non giocano, finisce che la palla ce l'hanno sempre i più scarsi. E il modulo scelto non aiuta. Fonseca per due volte in coppa ha fatto giocare i riservisti. Ma non sono all'altezza. O meglio lo sono se si rimane al di sotto della linea d'ombra o se si gioca al ribasso, collezionando exploit e mettendo in archivio brutte figure, come fa ogni squadra che sa di essere mediocre e non ha i mezzi per occultare la verità troppo a lungo. La Roma di Fonseca è creativa per due minuti a partita. Per il resto balbetta. Quali traguardi? L'ultima domanda è: quanto Fonseca può ancora dare? Ma soprattutto: quanto può ancora togliere, imbastendo questa gabbia dalla quale prima o poi nessuno uscirà più? Dice: "Il problema è mentale". E hai detto niente. A chi compete rettificare? La sua Roma non è predisposta per difendere, ma neppure sa attaccare con i giusti movimenti sfruttando le linee di passaggio: che ci sono ma se non le vedi è come se non ci fossero, se la palla scotta e guardi sempre per terra, addio spazi. Fonseca a rischio? Decidete voi. O restare nel "cubo" senza migliorare nemmeno di una virgola, o provare a respirare aria nuova, rischiando un po'.

Quarto buco: la rosa
La Roma non ha una rosa equilibrata. Manca completamente un leader a centrocampo (aspettiamo Villar? Se sì, deve giocare sempre). Manca uno come Kimmich, tanto per volare "bassi". In difesa Smalling potrebbe elevarsi a guida ma non è certo un ragazzino e rispetto a quando è arrivato appare molto più falloso (come dire che arriva meno facilmente sul pezzo). L'età delle "muse" potenziali è altissima: Dzeko 34, Pedro 33. Certi nuovi volti non hanno ancora fatto vedere nulla: Borja Mayoral, in prestito dal Real Madrid, sembra un pesce che con un salto nel vuoto è uscito dall'acquario, facendo quasi rimpiangere Kalinic. Un progetto per il domani non potrà mai partire né da Dzeko, né da Pedro. Forse nemmeno il presente, anche se soltanto loro due, e un po' meno Pellegrini, sanno come far girare la palla o servirla o renderla un assist. Dzeko apre gli spazi, Pedro va al doppio della velocità degli altri. Ma se è così evidente, vuol dire che c'è un problema. A centrocampo Veretout è una bella macina, ma spesso porta così tanto la palla che uno dice, romanescamente: "Ando va'?". Cristante sbaglia appoggi elementari e alla fine Diawara ruba meno palloni del dovuto, commettendo spesso nefandezze in impostazione o in manovra. Si spera in Villar. Ma come detto, se veramente è così, deve giocare sempre, deve farsi le ossa di corsa. Il fantasma di De Rossi comunque aleggia (ma non sarebbe lui un possibile futuro, ideale allenatore?). Un maggior coordinamento del vertice tecnico potrebbe comunque far funzionare meglio le cose, nascondendo le pecche. Sicuramente un mercato va programmato. Ma con quali soldi? E con quale ds? L'assenza di Zaniolo ormai non può più essere un alibi. È decisamente più importante che i presenti non diano segnali di vita, piuttosto che lamentarsi della mancanza di un assente. Resta che ci sono in rosa molti nazionali. Quindi torniamo al discorso di prima: perché non funzionano come dovrebbero.

Quinto buco: il dopo-Totti
La Roma spesso dimentica che vivere il dopo-Totti rimane un'impresa. Abituati alla bellezza e alla certezza, è difficile che l'ambiente, il cuore, che il senso stesso della passione trovino sfogo in qualche surrogato, di alto livello magari (come Dzeko), dimenticando il passato come se fosse un gioco da ragazzi mettersi tutto alle spalle, dimenticando di essere stati i contemporanei del giocatore più forte di tutti i tempi del club e uno dei più grandi in assoluto. Che l'atmosfera sia un po'inquinata da questa curva della storia è inevitabile. E se anche Totti tornasse in società, ciò ovviamente non basterebbe a compensare. Non c'è club al mondo capace di assorbire la fine di un'epoca come quella che Totti ha disegnato nella storia della Roma. Ma per provarci ci vuole forse un altro manico. E sicuramente un altro sprito.
di Enrico Sisti
Fonte: La Repubblica
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