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Roma in crisi tra rassegnazione e solitudine

Alla partita di domenica col Genoa di Cesare Prandelli, si affida il compito di decidere quello che i tanti dirigenti, dal boss James Pallotta in giù non hanno avuto finora il coraggio di decidere
Giovedì 13 dicembre 2018
Alla Roma sono finiti perfino i processi, perché ormai è addirittura inutile andare a caccia di colpevoli. Se anche li inchiodassi con prove schiaccianti e li condannassi in diretta, cambierebbe qualcosa? Forse, alla Roma, sta subentrando uno stato di serena rassegnazione. Rientrati da Plzen, incassata la settima umiliante sconfitta della stagione, i calciatori hanno passato una notte di tormento a Trigoria, altro allenamentino e poi via a casa. Inutile perfino insistere con la storia del ritiro a oltranza - cosiddetto punitivo di solito, ma classificato più che altro come seduta di autocoscienza - che imposto dopo la precedente umiliazione di Cagliari (il pareggio ottenuto dai sardi rimontando in nove...), ha fatto pure peggio e letteralmente mandato in crisi depressiva l'intera squadra, a cominciare dallo stesso Di Francesco. Del quale ormai si tiene addirittura il conto alla rovescia verso la classica, angosciante, implacabile, fatidica "ultima spiaggia". Il non luogo del calcio dove tutto converge e dove l'unico dio del pallone ti assegna finalmente al tuo destino.

Nel caso di Eusebio Di Francesco potrebbe essere un figurato calcio nelle terga per cercare di uscire da questo incubo infinito. Alla partita di domenica col Genoa di Cesare Prandelli, ex romanista per un periodo triste e brevissimo (2004) e anche lui in forte credito con la buona sorte che gli ha sbattuto parecchie porte in faccia, si affida il compito di decidere quello che i tanti dirigenti della Roma, dal boss James Pallotta in giù non hanno avuto finora il coraggio di decidere. Su Trigoria nubi basse, rassegnazione e una paurosa calma piatta.

Fabio Capello, ex allenatore dell'ultimo scudetto, e ora imprudente commentatore tv senza il dovuto autocontrollo a Sky, dopo la sconfitta nell'ultimo match del girone di Champions League ha detto e forse addirittura quasi invocato: "Conoscendo l'ambiente della Roma, domani si ritroveranno i tifosi ai cancelli di Trigoria". Beh, non è successo. La Roma è abbastanza sola nella sua angoscia, certo criticata, assalita dal malumore social dei tifosi, immersa in un'enorme bla bla che comunque a Roma è anche autocompiacente e quasi gratificante per il suo svolgimento teatrale, ma sostanzialmente sola e abbandonata a se stessa. Fosse per i tifosi, vorrebbero semplicemente che Totti arrivasse come Jeeg Robot a salvarli. E anzi vorrebbero tout-court che non avesse mai smesso, e che ci fosse ancora lui, ormai ultraquarantenne, in campo a risvegliare l'orgoglio calpestato.

Le frasi di Manolas ("prendiamo troppi gol, squadra troppo giovane"), di Florenzi ("bisogna che a Trigoria vadano tutti nella stessa direzione"), e dello stesso Di Francesco ("certi risultati servono anche a farsi della valutazioni personali") sono indice di una temperatura che si sta pericolosamente innalzando al centro nel nucleo atomico giallorosso. Ma per il resto si ha un gran senso di abbandono e di fuga dalle responsabilità. Perfino James Pallotta sembra averla abbandonata, la sua squadra: pur essendo, dicono, molto arrabbiato non ha imposto ordini perentori, non ha richiesto l'immediata decapitazione di Di Francesco (anche se avrebbe voluto farlo, pare, già a settembre dopo il ko di Bologna), piuttosto avrebbe chiesto all'ineffabile direttore sportivo spagnolo Monchi spiegazione di tutto quanto.

Dall'improbabile e fallimentare mercato che ha svenduto grandi giocatori e riempito la rosa di giovanotti inesperti - compreso quel Luca Pellegrini, 19 anni, che si è fatto espellere con due ammonizioni nel finale ed è rientrato negli spogliatoi a torso nudo a -3 sotto zero, togliendosi la maglia per protesta - al rendimento di Eusebio Di Francesco che nella gran sarabanda giallorossa ha sbagliato a sua volta tutto quello che si poteva sbagliare. Anzi, stando a Pallotta a quanto pare non avrebbe intenzione di fare il bis di Capitan Fracassa Garcia, quando gli toccò licenziarlo per poi ritrovarselo a carico dopo avergli allungato il contratto. Il resto, dalle invocazioni di Paulo Sousa ed Antonio Conte, sembra più che altro una letterina a Babbo Natale.
di Fabrizio Bocca
Fonte: La Repubblica
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