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Viviani: "Roma mia, perchè m'hai abbandonato?"

Sabato 21 aprile 2018
Innamorato perso della sua ex, la Roma, Federico Viviani. E oggi la affronterà con la Spal...
«L'anno scorso ho giocato contro la Roma all'Olimpico per la prima volta, quando ero al Bologna. Un'emozione incredibile. C'era la mia famiglia in tribuna».

Con chi è rimasto in contatto?
«Parlo con Florenzi e Pellegrini».

Quali ricordi conserva?
«Ho vissuto a Trigoria per sette anni, dai 13 ai 20, tutta l'adolescenza. Sono entrato che ero un bambino. Il primo anno facevo avanti e indietro, andavo una volta o due a settimana. Poi a 14 anni ho cominciato a vivere lì. All'inizio mi piaceva vedere gli allenamenti della prima squadra e pian piano ho conosciuto tutti, dai portieri fino ai ragazzi del ristorante e alle donne delle pulizie».

Una casa...
«Sì, era diventata casa mia. Ti coccolavano, mi hanno cresciuto. Fino a che sono stato a Trigoria, c'erano soltanto ragazzi di Roma e dintorni. Ora so che hanno rifatto tutto».

Lei però non è nato a Roma...
«Io sono nato a Lecco perché mio papà Mauro, ex laziale, giocava proprio lì, ma il mio paese è Grotte di Castro, in provincia di Viterbo. Qui a Ferrara vivo da solo, non sono sposato, né fidanzato. Appena posso, torno a Grotte. I miei abitano lì. È un paese di tremila abitanti, anche d'estate è tranquillo, vado al lago di Bolsena. Sto una pacchia, poi mia mamma è di Acquapendente. E sono tifoso della Fiorentina, da sempre, perché mio zio è tifosissimo. Poi è chiaro che mi sono appassionato alla Roma con il tempo».

Allora perché l'ha lasciata?
«Se fosse rimasto Luis Enrique, non mi avrebbero mandato via. Ricordo che a metà di quella stagione sono andato dal ds Walter Sabatini con i miei procuratori e gli ho detto: Direttore, devo giocare. A rispondere è stato Luis Enrique: Federico lo faccio crescere io, rimane con me. Così sono rimasto. Per me, fare a 19 anni nove presenze in prima squadra, esordire in A contro la Juventus e giocare in Europa League è stato fantastico. E non sentivo neppure una pressione pazzesca».

Perché Luis Enrique ha fallito?
«Era la prima grande esperienza per lui. Arrivava alla Roma, era appena cambiato tutto, si era insediata la dirigenza americana, la rosa era stata rifondata. Luis era alla prima avventura lontano dalla Spagna e, se sei inesperto, a Roma ti sfondano».

Lo ha risentito?
«Gli ho mandato un messaggio dopo che aveva vinto la Champions con il Barcellona. Però non c'è mai stata la possibilità di tornare a lavorare insieme. Credo che, una volta andato via dalla Roma, abbia voluto staccare del tutto la spina».

Il suo rapporto con i capitani?
«Totti parlava poco: gli piaceva scherzare e prendere in giro tutti, però se c'era da dire qualcosa la diceva. Con De Rossi ho un rapporto particolare.

«Posso raccontare una cosa?»
Prego.
«Prima del mio esordio in Serie A Daniele mi disse: Sei un predestinato, a nessuno accade la fortuna di esordire in Serie A contro la Juve. Stai tranquillo, gioca come sai, hai personalità, non pensare troppo. Se sei in difficoltà, dai la palla a me, ci sono io qui dietro. Non potevo crederci. Daniele, con i giovani, è fantastico. E questo mi è mancato quando ho lasciato la Roma. Per paradosso, mi ha fatto male, questa mancanza. Ti scontri con la realtà. Trovi gente a cui non interessi, anzi, proprio perché arrivi dalla Roma ti massacra, e ti rendi conto di aver vissuto in una realtà fatta di persone splendide. Una bolla di sapone. Questo fa la differenza tra i campioni e i non campioni».

E Bruno Conti?
«Eccezionale. Anche se hai 13 anni, ti fa sentire speciale. Sembra un papà. Vuole portare i ragazzi in prima squadra e ci riesce. Con Bruno, dal vivaio della Roma, sono usciti solo giocatori di Serie A o B. Ha l'occhio».

Ricorda il suo provino?
«Certo. Cinque minuti e Bruno capiva. Diceva: Lo prendo. Fantastico. Ha anche il coraggio di sostenere la scelta. Io, in alcuni periodi, giocavo poco. Lui allora sussurrava: A me non interessa se non giochi, voglio vederti in Serie A. Faceva di tutto per aiutare. Adesso il lato umano manca. E la Roma trattava ogni ragazzo allo stesso modo: chi di noi guadagnava di più prendeva 1.700 euro al mese. Oggi si è perso il divertimento»

E Alberto De Rossi?
«Ho un rapporto eccezionale con lui. Con la Primavera abbiamo vinto lo scudetto e la Coppa Italia. Eravamo i più forti. Imbarazzanti. Ma se non fosse stato per mio nonno Mario chissà dove sarei oggi. I miei lavoravano tutti i giorni e lui, ogni venerdì, veniva a prendermi alle scuole medie a Grotte di Castro e mi portava a Roma. Faceva 160 chilometri per arrivare a Trigoria, rimaneva per tre ore fuori perché non poteva entrare, e poi tornavamo indietro».

Il futuro come lo immagina?
«Il mio sogno è il Mondiale del 2022 in Qatar».

L'allenatore cui deve di più?
«A livello professionistico, Mark Iuliano. Appena è arrivato a Latina mi ha scelto come capitano. Avevo 22 anni. E per migliorare nelle punizioni studiavo Beckham e Mihajlovic».

La rivedremo a Trigoria, allora?
«Ma magari...».
di B. Saccà
Fonte: Il Messaggero
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