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Dzeko: "Adesso non sono più Edin ‘Cieco'. Voglio portare lo scudetto a Roma"

Parla l'attaccante bosniaco: "La prima stagione è stata d'insegnamento, potevo andar via ma non sono uno che molla. I tifosi qui danno al calcio un'importanza esagerata, ma anche una spinta in più"
Lunedì 13 novembre 2017
Dopo un inizio da protagonista della nuova Roma targata Di Francesco, Edin Dzeko è a secco da cinque partite. Una stranezza, per uno capace di segnare 39 gol nella passata stagione. Il suo desiderio sarà sicuramente quello di sbloccarsi in occasione del derby di sabato 18 novembre. L'attaccante bosniaco ha rilasciato un'intervista alla rivista tedesca "Kicker", nella quale ha parlato della sua esperienza romana. Queste le sue dichiarazioni.

Hai preso le due magliette fatte per te ad inizio della passata stagione "Edin Cieco e "L'amore è Dzeko"?
"No, ho solo le mie maglie, quelle ufficiali. Con i nuovi mezzi di comunicazioni tutti possono dire qualcosa. Io accetto le critiche degli addetti ai lavori, ma spesso giudica chi non ne capisce molto: queste critiche le ignoro. Il primo anno è andato male perché al City, durante la preparazione estiva, non mi avevano fatto giocare sapendo che sarei andato via. Fisicamente ero fiacco e in più il non fare gol comincia a pesarti anche psicologicamente. Dovevo ambientarmi in questo campionato che è difficile. Archiviamo quella prima stagione: è stata d'insegnamento. Avrei potuto lasciare la Roma dopo il primo anno, ma non sono uno che molla. Quell'estate ho liberato la mente dai brutti pensieri, ho lavorato sul fisico e fatto una preparazione come si deve. Nel calcio è tutto troppo bianco o nero: se Messi e Ronaldo non segnano per due partite, cosa che non accade quasi mai, si parla di crisi. Non siamo robot, possiamo far bene e a volte meno".

Sui tifosi della Roma.
"I tifosi a Roma sono incredibilmente fanatici e il calcio qui a volte ha un'importanza esagerata. Allo stesso tempo però giocare davanti a loro ti trasmette quell'entusiasmo che ti dà una spinta in più. L'addio di Totti è stato emozionante, stavo per piangere perché una leggenda smetteva di giocare a calcio. Ma era il momento giusto per smettere, lo sa anche lui. A Roma è difficile passare inosservati: se uno mi vede a cena parte il caos e in 100 mi chiedono autografi. Se posso evitare di andare in città evito. Qui però si vive bene, anche mia moglie e i miei figli stanno bene. Stiamo a metà novembre e fa calduccio. In Germania non credo sia così...".

Un paragone fra la Bundesliga, la Premier e la Serie A?
"Gli allenamenti più faticosi erano quelli al Wolfsburg, ma questo anche perché il tecnico era Magath. Il lavoro è stato ripagato dalla vittoria del titolo. La Premier, invece è il "non plus ultra", li è calcio totale. In Italia c'è più tattica e per qualcuno può essere noioso; io invece qui ho imparato cose che non avevo mai visto in tutta la mia carriera, migliorando in tanti aspetti. La Juve dal 2011 è troppo forte per gli altri, tant'è che hanno speso 90 milioni per Higuain. Quest'anno però il campionato è più livellato, ma i bianconeri restano i favoriti. Mi sento bene come mai, ho ancora un paio di anni per portare lo scudetto alla Roma e ripetere quanto vinto con Wolfsburg e Manchester City".

Il derby?
"Per chi non lo vive è impossibile capire: se vinci per i tifosi la vita è più bella. Ora le proteste delle tifoserie sono finite, quindi vivrò il derby più caldo. Queste partite in uno stadio semi-vuoto erano tristi".

Sui prezzi dell'attuale mercato.
"Nessun giocatore dovrebbe valere 222 milioni. Sei anni fa prendevi un top-attaccante per 30 milioni, ora ne spendi 50 per un difensore. Ormai il calcio è legato al business".

IL VAR.
"È strano, perché quando segni non sai se puoi esultare o aspettare che l'arbitro controlli l'azione. Ci dobbiamo ancora abituare, non bisogna abusarne".
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